martedì 24 maggio 2016

Ancora ...e... sempre.........in PUNTA DI PENNA

Per abitudine, o forse per necessità, stralcio dai quotidiani gli articoli che mi interessano, li ripongo “da qualche parte” rinviando la lettura a tempi tranquilli. Ora, in un momento, nel quale la quiete è assicurata da una vaga e giustificata sonnolenza serale rileggo l’articolo: OGGI HO FATTO SCENA MUTA pubblicato dal supplemento del Corriere della Sera[1] nel quale l’autore descrive, con precisione ed eleganza stilistica, la giornata di uno di noi, di uno dei tanti (tanti e/o tante) che esce di casa al mattino per rientravi a sera con la sensazione “di non aver ancora iniziato la giornata e accorgersi di non essere, nell’andirivieni diurno, apparso agli occhi di nessuno.
Prelevo i soldi alla cassa automatica. È un bancomat di nuova generazione, loquace, mi esorta a eseguire le operazioni con voce stentorea: digitare il codice, estrarre la tessera. La volta scorsa mi ha fatto gli auguri di compleanno. Per fortuna non c'era nessuno in coda. Ore 9.10, non sarà l'ultima macchina parlante della giornata. Potrei entrare in agenzia per comunicare la variazione di indirizzo e altre piccole questioni, sembra esserci poca gente, l'impiegato allo sportello è anche un tipo simpatico, ma sistemerò tutto dal computer appena torno a casa. Perché perdere tempo in chiacchiere inutili? Salgo di nuovo in macchina e mi fermo alla stazione di servizio. Scelgo la corsia self-service. Quando tocca a me, esco nella bolgia, una mezza dozzina di benzinai che si urlano battute, informazioni, ordini da una parte all'altra delle pompe, in un viavai di auto che scalano posizioni e clienti che si dirigono a pagare all'interno. Faccio rifornimento indisturbato come un fantasma. Dentro, la cassiera sta parlando al telefono, non ho bisogno di dire niente, metto trenta euro sul banco e lei fa lo scontrino continuando a discutere, di cani mi sembra, forse con un dog-sitter, chissà(....)L’autore, Mauro Covacich, continua presentando le innumerevoli situazioni agite dal protagonista in un’apparente condivisione e giunge alla riflessione chee negli ultimi anni abbiamo assistito a un ritorno trionfante della scrittura a dispetto dell'oralità, è anche perché parlare, nel senso di rivolgersi la parola, non è più necessario. 
Era necessario quando eravamo vincolati alla presenza e ne rispondevamo con la nostra faccia, col nostro corpo. Ora che la presenza è solo apparente, o meglio vicaria, posso scambiarmi messaggi con più persone e condurre più vite nello stesso tempo, sempre in attesa del momento apicale della giornata (o della settimana), quando cioè finalmente vivrò in carne ed ossa nel luogo e nell'attimo in cui respiro.” Questa riflessione permette un ritorno di pensiero che mi riconduce a Meldola, dove il 28 aprile,in un clima di ben-essere e di piacere condiviso abbiamo parlato di memoria e di scrittura autobiografica con il professor Duccio Demetrio. La lettura dell’articolo rafforza la mia convinzione di quanto, oggi più che mai,  sia necessaria e salvifica la scrittura autobiografica, definita da Demetrio:”Patrimonio dell’Umanità ”. La scrittura, infatti permette di ricollocarci in noi stessi, di incontrare il mondo ed imparare ad abitarlo con modalità rispettose delle nostre e altrui esperienze. Lo spazio intimo che la scrittura crea ci consente riconquistare i nostri diritti sul tempo, di distenderci in esso e trovarvi dimora; come recita la poesia di Astrid, aiuta a ritrovare il bandolo della matassa della propria vita nei momenti in cui si sente il bisogno di rivederla  criticamente, ma con benevolenza .
Ho un gomitolo tra le 
mani
di un filo che riluce
e cambia colore
specchiandosi
nei ricordi.

Tramo e dipano 
la mia storia
avvolgo
e allento questo filo
con la pazienza
di chi ricomincia
ogni giorno
da capo[2]

Ricominciare ogni giorno da capo procedere parola dopo parola sul filo del pensiero, avanzare passo dopo passo, partendo da materiale, spesso informe e aggrovigliato, animati dalla volontà di fare, disfare e creare. Quindi, tornando ad  Astrid, si dipana, si tesse fino a comporre, come accade nei laboratori di SCRITTURA AUTOBIOGRAFICA, una tessitura narrativa condivisa. L’autobiografia ,ordinando i ricordi, svela il luogo in cui annida la sacralità della “nostra vita” che ci vuole: singolari, unici e irripetibili. Superando la nota amara con la quale Covacich conclude l’articolo[3] io credo che, grazie a quanto si sta realizzando a Meldola, i testimoni e i partecipanti ai laboratori apprezzeranno la possibilità di stare in colloquio con loro stessi e in dialogo con gli “altri”, felici di sapere che ci sarà sempre traccia di ognuno nelle esistenze che hanno attraversato narrando e scrivendo. Felice di aver lasciato una, seppur lieve e inconsistente traccia, concludo questa riflessione con una citazione di Goliarda Sapienza: “ricordare è tutto: l’etica fondamentale della vita” [4]   
Loretta Buda





[1]”LA LETTURA” 24 Aprile 2016 N^ 230
[2] INCONTRO di Astrid Valeck
[3] [3]:” Non ci sarà mai traccia di me nelle esistenze che ho attraversato, ma quando supero i senza casa del mio quartiere, mi sento chiamare: «Amicoo!»
[4] Goliarda Sapienza, Il vizio di parlare a mee stessa, Einaudi

domenica 8 maggio 2016

MA' di Mariangela Gualtieri

La mamma era una grande arca
io galleggiavo nel soffio

quando il tempo mio

scalciava
per cominciare.

La mamma era una forte nave
in cui navigavo addormentata
carica del mio nome e della contrada
e di un sogno terrestre.

La mamma era mia casa allora
una tana, un guscio, un’enorme noce
di latte. Una patria in cui stavo
rannicchiata. Silenziosa
in alto raccoglimento
per quel grido, quel pianto
quando la camera esplode
per una voce che prima non c’era
e adesso è la mia.

Mariangela Gualtieri, Le giovani parole, Einaudi

lunedì 2 maggio 2016

IN PUNTA DI PENNA. Letture e scrittori a Meldola con Duccio Demetrio

Così come l’acqua è l’unica sostanza che può presentarsi nei tre diversi stati della materia, liquido, solido(ghiaccio) e gassoso(vapore acqueo) e ci sono i passaggi di stato, fusione/solidificazione, evaporazione/condensazione anche il nostro essere può presentarsi in diversi stati: il pensiero, l’oralità e la scrittura e forse altri. Ed anche qui ci sono passaggi di stato, molto interessanti e curiosi. L’immaginazione alberga nella nostra realtà virtuale e si concretizza nei nostri pensieri. Sono lampi, veloci come le nuvole nel cielo e come le nuvole cambiano velocemente, disegnano forme e visioni sempre diverse. Cambiano in continuazione. E’ il loro essere naturale. Il pensiero è un atto creativo labile, passeggero, che fatica a sedimentare e, soprattutto, cambia facilmente in breve tempo. E’ effimero, volatile, fatica a consolidare, a mettere radici. 

Va richiamato spesso e nel riviverlo come ricordo è già un po’ cambiato. Nel pensiero il ricordo agisce impietosamente e modi fica, con il tempo, tutto. Scava come un minatore per far crollare, un poco alla volta, la realtà depositata nella nostra memoria. Con la scrittura è diverso. Il pensiero, con un passaggio di stato, entra nella realtà sensoriale. Il pensiero, attraverso la mano, l’occhio, diviene segno, scrittura. Con ciò realizziamo una realtà nuova: fisica e immutabile. Il ricordo si cristallizza, non può più cambiare. Diviene qualcosa d’altro anche per noi che, continuando a “rimuginare” il ricordo, ne produciamo dei nuovi in continuazione. E a volte facciamo fatica a riconoscerci in lui. A riconoscere noi stessi. Questo perché, senza accorgercene, siamo diventati altro. La scrittura cristallizza il tempo, come una foto. Stana il tempo. Lo svela, lo scopre. La scrittura innesca il tic tac del tempo e storicizza. Cioè diviene storia. Con la scrittura c’è un prima, un durante e un dopo. Non c’è più bisogno della memoria celebrale. C’è un nuovo supporto. Il file è salvato e non più modificabile. Può essere letta da altri e da se stessi, più e più volte, e ogni volta può essere un po’ diversa, può creare nuove visioni e immaginazioni. Ma ora c’è un punto fermo. Un luogo stabile a cui tornare, dove tutto è immobile ma vitale, un luogo senza tempo che produce tempo e realtà. Un punto dove ritrovare un noi stessi, a volte già perso nell’oceano dell’oblio. Uno dei tanti noi stessi. E ricomincia il giro, il cerchio, la danza del divenire della vita.
[Maris Senzani Pezzi]

IN PUNTA DI PENNA. Letture e scrittori con Duccio Demetrio a Meldola

Ho iniziato a scrivere tutte le sere prima di dormire. Sul comodino tengo una penna e un quaderno. Mi appoggio con a testa un po' sollevata e scrivo. Cosa scrivo non so. Perché i pensieri della sera non sono totalmente miei e a volte persino non li riconosco il giorno dopo. Sono i pensieri dell’ultimo momento, quelli che cedono il passo al sogno. Eppure da quando scrivo quelle poche righe, non mi sveglio più di notte.
Di notte mi basta un soffio di respiro dei miei figli, per aprire gli occhi senza aspettare che il cervello se ne sia neppure accorto. E come un incantesimo, dagli occhi entrano, fulminanti, i miei pensieri, mai addormentati. Non sono importanti, sono a volte banali, a volte inutili, ma straordinariamente prepotenti e con una forza anomala, si prendono il mio sonno.
Perché questo fastidio?
Di giorno non mi fermo a pensare, faccio e disfo e i miei pensieri sono di servizio, come gran parte delle parole che dico. Consumo le ore a cottimo, fino a sera. Poi decido basta e cerco un modo per rilassarmi e trovare il sonno: mi assopisco con un programma televisivo, leggo a lume di lampada un libro troppo fitto che mi ipnotizza e i miei occhi pesanti si chiudono.
Ma i pensieri no, senza pace per non aver avuto ancora un posto dove andare, si agitano nella mia testa sopita e aspettano. Sbattono qua e là finché un soffio di respiro mi sveglia. E lì li trovo agitati ed esagerati scorrere ladri, fino al cuore, allo stomaco. Non mi fanno più addormentare, mi chiedono di pensarli. Ma la scorsa sera ho scritto due righe sul quaderno bianco. Gli ho regalato un foglio dove mettersi in fila, un posto per stare. I miei pensieri, quelli che c’entrano di meno con me, quelli che lasciano il passo al sogno, si sono addormentati sul mio quaderno. E mi hanno lasciato dormire fino al mattino.
[Arianna Sama]

domenica 1 maggio 2016

IN PUNTA DI PENNA: letture e scrittori a Meldola il 28 Aprile 2016 con Duccio Demetrio


Il foglio bianco… il foglio bianco sembra contrastare col cielo nero che vedo attraverso le finestre chiuse… eppure oggi era luce, sole, un sole violento, forte ma freddo, come tutti quei ricordi rimasti sospesi a mezz’aria…
Sono qui ma mi trovo altrove, accompagnata dal rumore di un trattore acceso che mi riporta indietro nel tempo, lontana, a casa mia, a Meldola.
Io chinata sul foglio scrivo i miei compiti e lo sento arrivare; è mio padre. Con le mani sporche di olio entra in soggiorno, mi accarezza le guance, beve un bicchiere d’acqua e riparte…
Io trascorro tutto il mio tempo a scrivere e a leggere mentre lui è sempre nei campi, sempre di corsa ma sereno.
Se solo allora avessi saputo cosa la vita gli avrebbe riservato, cosa la vita avrebbe riservato a tutti noi, forse avrei lasciato quelle penne, quella carta, quella sedia e gli sarei corsa dietro; sarei salita sul trattore e lo avrei accompagnato per non perdere neanche un secondo della sua presenza…
Se solo allora fossi stata più consapevole del tempo che fugge, Avrei lasciato bianco il foglio.
[Daurjia Campana]

IN PUNTA DI PENNA: Duccio Demetrio a Meldola

Scrivere, in punta di penna e rientrare in "se stessi" in punta di piedi.Un sentito grazie al professor Demetrio e a tutte le persone presenti per aver contribuito alla "magia" dell'incontro.


















Il corriere di Romagna, 28 aprile 2016


1 MAGGIO

CON L'AUTENTICITA' DELLA POESIA UN AUGURIO PERCHE'......

 il lavoro..."sia per tutti"..... e "per tutti sia " ....... esperienza arricchente e gratificante .


ADESSO BASTA
La gente da nulla come noi
ha fatto strade,
ha fatto torri...
ha fatto le mura delle città.
La gente da nulla come noi
ha toccato con le mani
tutto quello che vedi attorno a te
ogni puntino.
Noi ci siamo accecati
per fare le cerniere lampo
ci siamo rovinati i polmoni
nella polvere delle filande
ci siamo bruciati nella calce
ci siamo ammazzati: nei camion
che andavano di notte
nella nebbia e sotto la pioggia.
Noi gente da nulla
Abbiamo fatto il mondo
E adesso basta.



ADES E BASTA
Néun, zénta da gnént
Ém fatt al strèdi
Ém fatt al tori
Al méuri dla zità.
Néun, zenta da gnént
Ém tòcch sal mèni
Tòtt duvè che t’ guèrd,
ogni puntin.
Ma néun i s’à fatt zigh
A fè al zirniri lampo
I s’à ròtt i pulméun
Tla porbia dal filandi
I s’à brusé tla calce
I s’à amazè: ti camion
Ch’andémi te schéur
Tla nèbia e sòtta l’acqua.
Néun, zénta da gnént
Ém fatt e’ mònd
E adès e basta.

Da “AL VOUSI” Nino Pedretti