sabato 21 luglio 2018

Il DIARIO di GIUSEPPE PIVA


Se la scrittura sta nella vita dell’Autore, non è meno vero che la vita dell’Autore sta nella scrittura”

Qualche tempo fa siamo tornati ad Arco di Trento, a far visita a Beatrice Carmellini. È a lei e al suo infaticabile impegno che dobbiamo l'idea e la guida nella nascita, a Meldola, della nostra Mnemoteca. Di fronte alle nostre domande non si è mai risparmiata, e negli anni c'è sempre stato un proficuo scambio.
L'ultima volta che ci siamo visti abbiamo portato con noi le nostre ricerche biografiche e i nostri progetti, e lei ha condiviso con noi i recenti percorsi, gli incontri e le pubblicazioni della Mnemoteca del Basso Sarca.
Tra queste il Diario del signor Giuseppe Piva, piccola opera d'arte di parole e immagini.
Dal libro che la Mnemoteca del Basso Sarca ha stampato divulgando così il diario del signor Piva abbiamo estrapolato alcune pagine scritte da Beatrice Carmellini che potete vedere nella foto.

Beatrice Carmellini
Più di vent’anni fa una giovane donna, rovistando nella soffitta di casa, trova un baule e, fra le molte cianfrusaglie, vede un quaderno foderato con quella che una volta si chiamava ‘carta da zucchero’. Lo sfoglia curiosa e ne rimane affascinata: è tutto disegnato! Ogni pagina ha strisce con immagini che racchiudono una scrittura giornaliera, numerata e ordinata.
Lo tiene per sé come un libro dei sogni, sogni di un altrove mitico di colori e immagini stravaganti. Solo molto più tardi riesce a staccarsene per donarlo alla Mnemoteca del Basso Sarca pensando che andrebbe condiviso come prezioso documento di testimonianza storica. Per questo ringraziamo Gabriella Boccagni perché davvero prezioso e unico sotto molti aspetti è il diario del signor Giuseppe Piva nel quale annota giorno per giorno i suoi primi quattro anni di emigrato in Uruguay, dal 12 ottobre 1930 al 31 dicembre 1934.
In questo diario, che rimbalza a noi da oltre oceano dopo oltre ottant’anni, c’è la tessitura di una fitta trama d’inchiostro che annulla distanze temporali e spaziali offrendoci la possibilità di osservare l’evento migrazione in presa diretta, dal caleidoscopico punto di vista del suo protagonista. Si tratta indubbiamente di una visione parziale e soggettiva, sottoposta ai condizionamenti del quotidiano e dello spaesamento, nel vissuto di stagioni al rovescio rispetto a quanto si è lasciato al paese d’origine.
Ma vediamo per prima cosa chi è Giuseppe Piva, l’autore di questa memoria7. Giuseppe nasce nel 1905 a Molina di Ledro, la sua famiglia, con soprannome Pivèc, originaria di Legòs, era numerosa: ben nove figli dei quali due morti in tenera età e uno, Massimo, che troveremo sovente nelle pagine del diario perché già emigrato tre anni prima di Giuseppe. Sappiamo inoltre che la famiglia (esperienza comune dei ledrensi) fu profuga in Boemia nel 1915 come mostra una fotografia nella quale Giuseppe aveva dieci anni. Stranamente nel diario l’autore non cita mai codesta esperienza, mentre invece declina i suoi dati anagrafici fin dalla prima pagina del quaderno: Giuseppe Piva, fu Angelo, e Scavia Margherita, nato il 13 febbraio 1905 in Molina di Ledro - Trentino, di professione sarto. Quando parte ha dunque venticinque anni e fa il sarto. Dalla foto nella quale è ritratto accanto al fratello Massimo possiamo vedere che Giuseppe non ha il fisico del fratello, pur nella fierezza del portamento. Che lui senta di compiere qualcosa di importante ce lo rivela già l’impostazione del diario e le mosse di apertura. Intanto lo immaginiamo mentre acquista il quaderno e non uno qualsiasi. È un quaderno che già dalla stampa della sua copertina racconta qualcosa: “Cuaderno de Escritura”con la grande scritta “Liberadores” e la data dello sbarco dei Trentatré Orientali nella Spiaggia dell’Agraciada, effettuato il 19 aprile del 18258. E questo è un racconto che riguarda il luogo dell’emigrazione, l’Uruguay. L’altro racconto riguarda il “pertinente”, ossia chi scriverà sul quaderno, nel nostro caso Giuseppe Piva (sarto) che vi scriverà “Riccordi del’Esilio” in quel di “Riachuelo P.p. Colonia R.O.U.”.
La pagina seguente si presenta già come un vero e proprio frontespizio con il disegno del piroscafo Campana e l’intento dello scrivente: “L’autore sottopone al giudizio di voi lettori quanto scritto nel presente libro...”. Desidera dunque che “il segno umile” del suo ‘esiglio’9 sia conosciuto. Sembra inoltre che l’intenzione fosse quella di una continuità nell’opera e che potrebbero esserci stati altri quaderni dal momento che dichiara essere questo il primo volume del quale è “iniziata l’edizione la prima domenica che mi trovavo in terra Uruguaia, 12 ottobre 193010”. Da questa prima pagina inizia la straordinaria avventura, non solo sua, ma anche di chi legge e si trova a vivere fra immagini e parole, fra ricordi e quotidianità, fra nostalgia e desiderio di futuro nell’affresco di un cambiamento e nel faticoso percorso di quella che sta diventando una identità bilocalizzata attraverso gli sforzi per trovare la capacità di vivere con dignità nella difficile condizione di emigrato in terra straniera.
Nel diario di quest’uomo, ora disperato, ora beffardo, nella sua scrittura precisa con penna e inchiostro - leggermente inclinata a destra- sia in prosa che in rima, come pure attraverso i magnifici disegni, ci troviamo di fronte a molti piani di lettura. Pur leggendo il diario nella sua scansione giornaliera sul piano puramente narrativo autobiografico, vediamo che poi, come una scatola cinese, ne possiamo trarre informazioni di tipo storico, antropologico, sociale, naturalistico, ambientale. Il tutto dentro una scrittura che, dal punto di vista formale, ha caratteristiche sue peculiari se pensiamo a quella che era l’alfabetizzazione negli anni venti e trenta del secolo scorso. Ci sono infatti citazioni in latino, riferimenti letterari, rime... Naturalmente la parte forse più attraente nell’immediato sono i disegni, la loro pertinenza con la narrazione e la realtà, oltre al fascino dei colori e dell’insieme.
Se la scrittura sta nella vita dell’Autore, non è meno vero che la vita dell’Autore sta nella scrittura. È sintomatico il caso di questo diario spesso assunto come luogo in cui la realtà della vita può essere colta e dove la scrittura trova la propria motivazione, giustificazione e fondamento. Il diario dice proprio della persona reale così come è quando scrive, quando vive la vita quotidiana, quando è ‘vivo e vero’ perché, come dice lui stesso: “Giuseppe Piva scrive la vita11”.

7 Vedi: Testimonianze, notizie, ed immagini del XX secolo delle comunità di Barcesino, Legòs e Molina di Ledro (pagina 305, Tav.82) a cura di Michele Toccoli pubblicato dal Comune di Molina di Ledro nel febbraio 2008.
8 I Trentatré Orientali (Treinta y tres Orientales) è riferito ad un gruppo di uomini comandati da Juan Antonio Lavalleja, che aveva condotto una spedizione dall’Argentina, per liberare il territorio dell’Uruguay nel 1825, precedentemente conquistato dal Brasile sotto il nome di “Provincia Cispalatina”.
9 Giuseppe Piva scriverà quasi sempre esiglio e non esilio, si avverte pertanto che le citazioni saranno trascritte correttamente errori ortografici compresi.
10 Nella prima pagina.
11 (p.55a: 18 giugno 1933. Ci sono due numerazioni di 55, anche la seguente reca lo stesso numero)



ESSERE BAMBINI A TAVOLICCI DOPO LA STRAGE - 22 luglio 2018

Domenica 22 luglio 2018 alle ore 15.00 saremo a Tavolicci. 
Questo ultimo anno lo abbiamo dedicato ad ascoltare le storie di chi qui ci è rimasto, ci è nato, ci è vissuto dopo gli eventi del 22 luglio del 1944.
Una memoria che resta, che pesa e accompagna. Una memoria capace, però, di divenire possibilità. 
A Tavolicci vi sono attualmente poche case che potrei definire semi, perché le persone che vi abitano e che l'hanno scelto come proprio luogo di vita, stanno piantando il futuro. Non è facile vivere a Tavolicci: è un posto di montagna, è lontano dalle comodità e dai servizi. È lontano, però, anche dalla confusione, dalla fretta e dallo smog della pianura. La forte volontà di chi è rimasto e l'amore per questo luogo in cui lo sguardo si può muovere libero verso un orizzonte che trascende le cime sta facendo germinare i "semi" di cui dicevo prima: attività produttive che promuovono il territorio e nuove nascite: da quest'anno a Tavolicci ci sono due bimbi. Non si dimentica la strage e ciò che ha significato per chi è rimasto e per chi è nato dopo quell'evento. Ciò che è stato lascia sempre un segno in chi viene dopo. Una sorta di cicatrice consegnata in eredità attraverso l'educazione, il ricordo di un dolore: per non dimenticare quello che c'era prima di quel dolore e per fare divenire quella cicatrice forza propulsiva per il futuro e le generazioni che verranno. Domenica racconteremo qualcosa della nostra ricerca, parlando di infanzia, di affetti, di sogni, di aspettative, di attese...



domenica 15 luglio 2018

La via si fa con l'andare . ANDAR PER STORIE.

“La via si fa con l’andare.”



A tempo, nel tempo e insieme ci siamo mossi inventando, di momento in momento,  la strada che ci siamo trovati a percorrere. Strada facendo, abbiamo  attraversato un tempo ricco di parole immagini e storie che desideriamo condividere nuovamente con amici e simpatizzanti.
L’8 AGOSTO alle ore 21 presenteremo il secondo volume della raccolta:
“ANDAR PER STORIE ... a Meldola”
Una pubblicazione che diventa “ la casa di storie in cui abitare insieme” perché, come sostiene Paolo Jedlowski<<  nell’intreccio di frasi e di racconti si genera una casa di parole che raddoppia la casa fisica di mattoni e stanze, aprendo spazi in cui transitare, conoscere, comunicare>>.

8 AGOSTO 2018 ore 21 .

ARENA HESPERIA MELDOLA