Va richiamato spesso e nel riviverlo come ricordo è già un po’ cambiato. Nel pensiero il ricordo agisce impietosamente e modi fica, con il tempo, tutto. Scava come un minatore per far crollare, un poco alla volta, la realtà depositata nella nostra memoria. Con la scrittura è diverso. Il pensiero, con un passaggio di stato, entra nella realtà sensoriale. Il pensiero, attraverso la mano, l’occhio, diviene segno, scrittura. Con ciò realizziamo una realtà nuova: fisica e immutabile. Il ricordo si cristallizza, non può più cambiare. Diviene qualcosa d’altro anche per noi che, continuando a “rimuginare” il ricordo, ne produciamo dei nuovi in continuazione. E a volte facciamo fatica a riconoscerci in lui. A riconoscere noi stessi. Questo perché, senza accorgercene, siamo diventati altro. La scrittura cristallizza il tempo, come una foto. Stana il tempo. Lo svela, lo scopre. La scrittura innesca il tic tac del tempo e storicizza. Cioè diviene storia. Con la scrittura c’è un prima, un durante e un dopo. Non c’è più bisogno della memoria celebrale. C’è un nuovo supporto. Il file è salvato e non più modificabile. Può essere letta da altri e da se stessi, più e più volte, e ogni volta può essere un po’ diversa, può creare nuove visioni e immaginazioni. Ma ora c’è un punto fermo. Un luogo stabile a cui tornare, dove tutto è immobile ma vitale, un luogo senza tempo che produce tempo e realtà. Un punto dove ritrovare un noi stessi, a volte già perso nell’oceano dell’oblio. Uno dei tanti noi stessi. E ricomincia il giro, il cerchio, la danza del divenire della vita.
[Maris Senzani Pezzi]
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