lunedì 21 marzo 2022


Giornata Mondiale 

    della Poesia



(…) Il poeta non deve fare il pane o portare l’ambulanza, deve riconoscere il vuoto che portiamo dentro e usarlo come una terra da seminare e le poesie sono il frutto di questa semina, poco importa se nasce grano o papaveri o erba medica. La cosa bella è che germogli la lingua, una lingua che canta o che tace…"

Franco Arminio   “ La Repubblica 21 Marzo 2022 ”  

 

Oggi la poesia  non si rinnova: tace  .









sabato 12 marzo 2022

LABORATORIO DEDICATO AL GIOCO

Una partecipazione numerosa e inaspettata ha allietato l'ultimo dei laboratori di scrittura autobiografica organizzato dalla nostra associazione. Grazie alla collaborazione nata tra l'APS parolefatteamano e l'Associazione Nonno Banter 57 un gruppo di circa 20 persone ha donato le proprie memorie di gioco alla cittadinanza. La raccolta delle scrittura implementa la ricerca in corso sul valore del gioco come parte fondante dell'esistenza di ogni persona.  Prossimante sarà disponibile un volume che raccoglierà gli esiti della ricerca curato dall'APS parolefatteamano e divulgato dall'associazione Nonno Banter 57.








lunedì 7 marzo 2022

8 marzo 2022

 





Dal quotidiano  di oggi . 


(...) Le donne ucraine partoriscono nella pancia della terra, come Kateryna Suharokova nel bunker dell’ospedale di Mariupol. I bambini nascono e si ostineranno a farlo in qualunque condizione perché «la vita continua», come scrive Wislawa Szymborska, e «Dove non è rimasta pietra su pietra, / c’è un carretto di gelati». Ma come farla continuare, la vita, dipende da noi: è una nostra scelta.

La memoria persa

Le donne raramente hanno potuto scegliere. Nei manuali di storia del liceo chi ha deciso, comandato, depredato e manovrato armi è stato, in schiacciante maggioranza, uomo. Maschili i nomi rimasti, i monumenti dedicati. La memoria delle donne violentate, uccise, spartite, e dei loro figli si è spesso persa nello spazio bianco tra le righe. La Storia l’hanno fatta sempre sgobbando nelle retrovie, nelle fabbriche, nelle case, nei lazzaretti, nelle infermerie da campo, senza medaglie. È stato chiesto a noi di occuparci dei corpi e delle storie degli altri, di riparare i danni, di crescere i bambini, di accompagnare gli anziani, di curare i feriti, di portare il lutto, di stare sul crinale tra la vita e la morte e suturare in silenzio.

Però il mondo ha bisogno di noi, come noi abbiamo bisogno del mondo. (...)



Silvia Avallone. 

tps://www.pressreader.com/italy/corriere-della-sera/20220307/page/21






giovedì 3 marzo 2022

 

Gli occhi gli diventavano grandi grandi.






 Dio, perfino i bambini!

Sempre e dovunque i bambini
sacrileghe vittime
dei nostri orgogli di adulti.
Ma forse tutti i soldati
sono bambini:
i soldati non sanno
non devono sapere,
è tolta loro la ragione.

David Maria Turoldo

 


Le notizie che arrivano dalla Russia e dall’Ucraina ci fanno ricadere in uno stato d’ansia che speravamo di   archiviare.  HISTORIA MAGISTRA VITAE dichiarava  Cicerone, ma considerando gli scenari di guerra che si sono dispiegati  in questi giorni     ritengo sia il caso di ripassare, e di  rileggere   scrupolosamente la storia  in tutte “le sue pieghe”.  Ancora turbati dalla pandemia oggi siamo sconvolti da una guerra che ci cinge con un assedio di morte e fa fare un balzo indietro alla nostra civiltà .

  Con   l’eco di spari lontani  e le voci concitate dei giornalisti radiofonici    ho ripreso in mano  un libro che non ho mai dimenticato: “Gli ultimi testimoni” di   Svetlana Aleksievič, premio Nobel della letteratura nel 2015 .

Se il libro,  alla prima lettura mi turbò    oggi   mi sconvolge,  perché il racconto dei  bambini e delle bambine  sopravvissuti rende ancora più assurda e straniante ogni idea di guerra.

L’Aleksievič riporta i racconti dei bambini  e delle bambine che, nel 1941,  furono testimoni dell’assedio della città Bielorussa di Minsk  da parte delle  dalle truppe tedesche. 

L’intera via era ridotta in cenere. Tra le fiamme erano morti vecchie, vecchi e molti bambini piccoli che non erano partiti insieme a tutti gli altri: si pensava che il nemico non avrebbe osato attaccarli. Il fuoco non aveva risparmiato nessuno.

 

 Era il 1985, l’anno in cui “Gli ultimi testimoni “veniva pubblicato, e immediatamente  censurato dal regime sovietico. Il racconto della guerra fatto dai bambini/e , era troppo cruento e la ferita originata dalla spietata ferocia dell’UOMO troppo viva

 Zenja Bel'kevic raccontava della mamma che era così bella e non capiva perché   le avessero sparato in faccia, e perché l’avessero seppellita nella sabbia, con tutti quei coleotteri.  

Zenja Bel'kevic

Poi ricordo un ciclo scuro e un aereo nero. La nostra mamma giaceva accanto al marciapiede con le braccia spalancate. La supplicavamo di alzarsi, ma lei non si alzava. Non si tirava più su. I soldati hanno avvolto la mamma in un sacco e l'hanno seppellita nella sabbia, lì dove si trovava. Noi, supplicando i soldati, gridavamo: "Non seppellite la nostra mamma nella fossa. Quando si sveglia, ce ne andiamo via con lei." La sabbia brulicava di grossi coleotteri... Non mi capacitavo di come la mamma avrebbe potuto vivere sottoterra con loro. Come avremmo fatto a ritrovarla? A riunirci di nuovo? Chi l'avrebbe detto al nostro papa? (…)

Paesaggi devastati, interni familiari sguarniti , fotografie di una quotidianità sfortunatamente trasformata da una parola che fino a poco  prima aveva un significato distante eastratto. IN  questi giorni,  al trauma aperto dalla pandemia,  si inserisce anche  la tragedia di una guerra, che  si infiltra nelle case, nelle famiglie, che allontana, divide, uccide, abbandona.  Dal  1941 al 2022 nulla è  cambiato . Caino è sempre fa noi e ci avverte :

sono io il mistero

del male che ti attrae

e con cui ti batti”

 

Ci rammenta che, ancora una volta ,  la storia  parla di lui,   e di  un’umanità che soccomberà per mano della propria  insipienza
 Il
 libro  ci fa riflettere perché è raccontato dallo sguardo di chi ha  subito la guerra  senza avere nemmeno gli strumenti per capire quello che stava accadendo, di chi si è visto rubare l'infanzia e che, con disarmante spontaneità abbozza,  l’affresco più difficile di un’epoca.

Katja Korotaeva ha 13 anni e della guerra conosce l’odore. Ricorda il profumo dei lillà e dei ciliegi, ricorda suo fratello in partenza per il fronte e i soldi che lascia alla madre per comprarle un cappotto nuovo.  

 

"La guerra! La guerra!" E l'indomani alle sette del mattino mio fratello maggiore ha ricevuto l'ordine di mobilitazione dal commissariato militare. Durante la giornata ha fatto un salto al lavoro, dove ha regola­to la sua situazione e ha ricevuto la paga. È tornato a casa con questo denaro e ha detto alla mamma: "Parto per il fronte, là non avrò bisogno di niente. Tieni questi soldi. Compra un cappotto nuovo a Katja. " Sognavo che non appena fossi arri­vata in settima e fossi diventata capoclasse mi sarei fatta fare un cappotto blu con un colletto di astrakan grigio. E lui lo sapeva...

  Vive­vamo in ristrettezze, il bilancio familiare era modesto... Ma la mamma comunque mi avrebbe comprato il cappotto dato che mio fratello l'aveva chiesto. Però non ha fatto in tempo...

A Minsk erano cominciati i bombardamenti. Io e la mamma ci eravamo trasferite nella cantina dei vicini.

Nataša Golik ha cinque anni e durante la guerra ha imparato a pregare

Taisa Nasavetnikova e la sua fuga insieme alla madre, la paura di morire e la salvezza grazie a un medico militare, le sue braghe rosse e i libri da grandi. I sogni dei bambini, le scarpe fatte a mano, i carri armati, la palude e i giorni interminabili, volti, rumori, odori di anni strappati all’infanzia di tanti bambini e ragazzi che l’hanno attraversata...”[1]

 

Ancora Katja Korotaeva,  

 

A Minsk erano cominciati i bombardamenti. Io e la mamma ci eravamo trasferite nella cantina dei vicini. C'era un gatto che amavo, un gatto molto selvatico che non si era mai allontanato dal cortile, ma quando hanno cominciato a bombardare e sono corsa fuori per andare dai vicini, il gatto mi ha seguito. Cercavo di scacciarlo. Gli dicevo di tornare a casa, ma continuava a seguirmi. Anche lui aveva paura di restare da solo. Le bombe tedesche quando cadevano mandavano un sibilo particolare. (...) Nella cantina insieme a noi c'era il figlio di quattro anni dei vicini. Lui non piangeva per i bombardamenti, ma gli occhi gli diventavano grandi grandi.


 

Dapprima erano bruciate le singole case, e poi l'intera città era stata divorata dagli incendi. Ci piaceva guardare il fuoco e i falò, ma è terribile veder bruciare una casa. Le fiamme fuoriescono da tutti i lati e il cielo e le strade sono invasi dal fumo. E in certi punti il bagliore accecante del fuoco è insostenibile... Ricordo tre finestre spalancate di una casa di legno, sui suoi davanzali erano rimasti dei rigogliosi cactus. Gli abitanti della casa ormai se n'erano andati, ma i cactus continuavano a fiorire... Era come se non fossero dei fiori rossi, ma delle fiamme vive. Fiori incandescenti. Fuggivamo dove potevamo...Per strada nei villaggi ci davano del pane e del latte per nutrirci, di più non avevano. E noi eravamo senza soldi. Io ero fuggita di casa con uno scialletto e mia mamma chissà perché con addosso un cappotto invernale e ai piedi delle scarpe con il tacco alto. Ci davano da mangiare gratis, nessuno neppure accennava a essere pagato. C'erano fiumi di profughi. (…) e sempre e ovunque, i bambini.   

 


 

 Loretta Buda 

 

 



[1] Cinzia Ciarmatori