venerdì 29 gennaio 2016

ASSEMBLEA ANNUALE FEBBRAIO 2016

Io sottoscritta  Laura Fuzzi, in qualità di presidente dell'associazione "parolefatteamano" convoco  in 1^seduta l'Assemblea Ordinaria per le ore 07.00 di venerdì 26 febbraio 2016 in palazzo Doria Phanphili, 3^piano, pzza Orsini, Meldola per discutere e deliberare su:


ORDINE DEL GIORNO

 -rinnovo Consiglio Direttivo triennio 2016-2019
 -approvazione rendiconto economico-finanziario anno 2015
 -stato delle attività in corso
 -progetti 2016 
 -tesseramento 2016
 -varie ed eventuali


Per la validità dell'Assemblea occorre l'intervento di almeno la metà dei soci più uno, in difetto l'adunanza sarà rinviata in 2^ convocazione a SABATO 27 FEBBRAIO 2016 alle ORE 16.00 in palazzo Doria Phanphili - 3°piano- Piazza Orsini a MELDOLA

         Al termine dell'assemblea dei soci è convocato il direttivo

  

                                                

domenica 24 gennaio 2016

PER PASSARE "IL TESTIMONE"

Invito alla lettura a cura di Astrid Valeck

Astrid Valeck-Ermes Fuzzi, L'eredità di Natalia, Il Ponte Vecchio, Cesena, 2008
Romanzo per una pedagogia della memoria.
Ha ricevuto numerosi premi letterari

Scrivo queste righe su invito di una carissima amica, Loretta Buda e del libro che ha recensito pochi giorni orsono, perché le vicende della Flem, in parte, rispecchiano il mio sentire per le vicende storiche della mia famiglia. E perché anche io ho avvertito l'esigenza di dare forma a questo sentire attraverso la scrittura.
Alcuni anni fa, esattamente nel 2008, Ermes Fuzzi ed io abbiamo scritto un romanzo.
Una scrittura a quattro mani non è affare da poco, ma è una delle esperienze più entusiasmanti che io ricordi. Sia Ermes che io avevamo un retroterra da conoscere e da narrare, e da lasciare in dono ai nostri figli. Qualcosa che era apparso improvvisamente nelle nostre vite quando eravamo già grandi.
È una grande opportunità, per uno scrittore, poter raccontare -in prima persona-come è nato il romanzo che ha scritto e cosa lo ha guidato e supportato.
Oggi potrei farlo a ritroso, con la ricchezza di quanto è avvenuto in questi otto anni. Però so di avere da conto, in fitti quaderni e lettere, l'evoluzione di questa nascita.
È così che ho trovato una lettera che il 22 settembre 2007 spedii al circolo di scrittura autobiografica a distanza di Anghiari. Il romanzo sarebbe stato pubblicato solo alla fine di quell'anno, uscendo tra i titoli de Il Ponte Vecchio a gennaio 2008.
Una scrittura in corso d'opera, quasi una pagina di diario, per raccontare l'evoluzione di una narrazione che stava prendendo la forma di un romanzo.
È da quella lettera che prendo lo stralcio che qui accludo, per ricordare il passato da cui provengo e che fare memoria, nel giorno della memoria, e in qualsiasi giorno dell'anno, è un atto di testimonianza che aiuta tutti a non dimenticare, soprattutto quando i testimoni storici rimangono in pochi. La mia storia, la storia di Ermes, non è una storia vissuta in prima persona, ma noi siamo i testimoni dei testimoni e il nostro compito è quello di passare il testimone.
L'idea iniziale era quella di fare un film.
Volevo scrivere e realizzare un film (e arriverò, prima o poi, a farlo) e invece ho scritto un romanzo.
Un romanzo al posto di un film.
Come sarà mai che una sceneggiatura abbia così radicalmente cambiato forma, si fa presto a dirlo.
Mi sono persa, volutamente persa tra le pieghe dei personaggi e le evocazioni dei luoghi.
La mia mano voleva andare in una direzione, il mio pensiero interiore in un altra. E ho dovuto prestargli ascolto.
Ho raccontato ciò che i miei occhi interiori percepivano e traducevano in immagini.
Ho passato anni a riempirmi di letture fino a saturare ogni mia percezione, c'è stato spazio per ogni emozione, ogni dettaglio, ogni biografia, anche ogni fandonia. Il malessere e la sofferenza che ho provato erano il sintomo di un lavorio interiore che accostava paradossi e che entrava in conflitto con se stesso, perché il quadro “non tornava”. La cosiddetta quadratura del cerchio non era possibile.
La sensazione era quella di limarsi il cervello, ma le forma non potevano combaciare, restavano distinte e ogni volta che provavano ad avvicinarsi provocavano scintille.
Si dice che essere creativi significa trovare soluzioni nuove a problemi vecchi.
A certi silenzi ostinati, le fonti, la ricerca, gli studi dei differenti autori possono solo fornire un'idea sfocata. Scrivere questo romanzo è la risposta creativa ad un grande vuoto “pieno”. Rappresenta un modo per cambiare punto di osservazione e saper cogliere la ricchezza che si nasconde dietro certi silenzi e dentro spazi che si presume siano vuoti, ma in realtà non lo sono ed è proprio focalizzando l'attenzione su di essi che il quadro si illumina e può essere visto.
A distanza di tempo, mentre leggevo un libro ho trovato questa citazione che sintetizza bene il mio pensiero: “A un certo stadio del processo creativo l'opera, che si tratti di un quadro o di una poesia o di una teoria scientifica, assume una vita propria e trasmette le proprie esigenze al suo creatore. Essa si separa da lui e fa appello al materiale che giace nel suo subcosciente. Il creatore deve quindi sapere quando è il caso di smettere di imprimere una direzione al proprio lavoro e lasciarsi invece guidare da lui. Egli deve in breve sapere quando è probabile, che la sua opera sia più saggia di lui”. (Chiedo scusa, ma non ho tenuto nota dell'autore e del libro).
La mia non è stata una scrittura organizzata sin da subito, anzi è vero il contrario. Le pagine scaturivano dalla penna sulla scia di una spinta interiore che mi pareva sconclusionata. Tante immagini diverse ed emozionalmente intense.
Pagine scaturite, spesso, con estrema fatica, quasi che ciò che avevo da raccontare premesse per uscire, ma nel contempo non potesse farlo. Normalmente, rimossi ostacoli che si rivelavano leggeri come un velo ma all'apparenza pesanti come un muro, le parole correvano fluide e inarrestabili sulla carta.
Ci sono ancora delle pagine che vorrebbero esprimere più di quanto dicono, ma non riesco a colmare quei vuoti. Forse più avanti, o forse resterà così.
Ho fatto un lavoro disumano di ricostruzione e liberazione interiore, e una ricerca storica puntuale.
Abbiamo espresso questo cammino (mio e di Ermes) attraverso una modalità comunicabile anche ad altri -ecco il perché della forma del romanzo- affinché questo frammento di memoria che non appartiene solo a me (a noi) ma presumo alle generazioni a venire, diventi un po' meno memoria individuale e un po' più memoria collettiva.
La “lezione” che ho trovato e che mi è stata lasciata desidererei divulgarla quanto più possibile – da qui l'idea iniziale di scrivere una sceneggiatura per il cinema; le storie raccontate attraverso le immagini sono fruite da un numero elevato di persone, incontrano più persone della parola scritta – ma anche un romanzo, scritto con un linguaggio semplice (quasi narrato sottovoce) , costruito come un poliziesco, con un intreccio sorprendente, magari letto ad alta voce, con descrizioni che aiutano ad evocare immagini e denso di dialoghi dovrebbe, a mio avviso, stuzzicare a pensare, a interrogarsi, a conoscere.”


sabato 23 gennaio 2016

"RICORDARE NON E' SOFFULGERE DI ROSA "

Recensione a cura di Loretta Buda
Lydia Flem, Come ho svuotato la casa dei miei genitori, Archinto, 2005
                                                                                 ....e scrivo quello che non saprei mai dire a nessuno                                                                                                                                               Primo Levi
Ho seguito un consiglio di lettura di Ada Ascari convinta che la lettura del libro: “Come ho svuotato la casa dei miei genitori” potesse orientarmi nel riordino dei materiali scolastici stipati nell’antica cassapanca della nonna, contenitore stracolmo di documenti riposti con cura alla fine di ogni anno scolastico (anni che sono diventati tanti anche per effetto della riforma Fornero). Ma dover scegliere fra quadernini e quadernoni, fascicoli operativi e formativi, dispense varie, era penoso. Rivedere i foglietti di carta strappata con i disegni approssimativi dei bambini, rileggere i loro messaggi scritti con lettere spaiate e frasi inconcluse, hanno risvegliato un’acuta nostalgia e attenuato la smania persecutoria di riordino. Quindi ho risistemato tutte “le mie cose” con la cura di sempre nella piena consapevolezza di aver bisogno ancora della loro, silenziosa e composta, presenza.
Questo lungo preambolo giustifica solo la motivazione che soggiace alla scelta del libro, ma lo scopo della mia riflessione è la sorpresa di scoprire, fra le sue pagine, una storia che l’autrice definisce con dolorosa chiarezza solo nella fase di “spoglio” della casa. Documentato, tra le carte ritrovate nei cassetti, le si rivela il tragico destino dei nonni e degli zii durante il nazismo.
(...)“Perché, tra tante altre cose possibili, ho avuto la tentazione di aprire questa valigetta di cuoio patinata dal tempo? Caso o intuizione. Conteneva fasci di lettere di cui ignoravo l'esistenza. Scritte, in tedesco, dalla madre di mio padre e indirizzate a lui, in collegio, quando era un giovanissimo adolescente, nel 1938, parlavano di un tempo che mio padre non aveva mai evocato in mia presenza. Di questa nonna russa, deportata e assassinata dai nazisti nel 1942, non sapevo niente.”.(...) E adesso toccava a me, da sola, infrangere questo tabù. Quello che mi avevano nascosto era peggio di quanto avevo letto o ascoltato? Quello che ne sapevo, non potevo saperlo, non avevano voluto che lo sapessi. Era un sapere proibito. Macchiato d'orrore, di vergogna, di ricusazione, un sapere chiuso nel ghiaccio, pietrificato.(...)"
"Ricordare non è soffulgere di rosa" scrive Nino Pedretti, non sempre il ricordo si avvolge di tenerezza, spesso, come in questo caso, ricordare “è scavare con la mente corrosa”. Le scoperte che gradualmente la figlia faceva la lasciavano sbigottita; rovistando, con pudore, tra i ricordi personali dei genitori emergevano dolori mai espressi, ferite mai sanate.
"(...) A questo passato inesprimibile, a questo susseguirsi di traumi vissuti prima della mia nascita, che cosa potevo opporre se non la ricerca ostinata, brancolante, delle parole perdute? Per diventare la loro «libera» erede, dovevo rompere l'assolutezza di un silenzio di cui ero ostaggio da sempre. Scrivere diventava un compito urgente. Attraverso l'elaborazione della lingua, la parte indicibile del loro passato non mi avrebbe più impedito di vivere la mia vita, separata dalla loro. Non sarei più stata il recinto passivo del loro sconforto e del loro mutismo, ma l'erede attiva della mia filiazione.”
Lydia ha intrapreso, la via della scrittura, il solo modo che le permettesse di diventare la “libera” erede dei suoi genitori. Scrivendo ha cominciato a esplorare il rapporto avuto con loro, con i sentimenti e con la realtà che aveva vissuto, riuscendo così a superare anche l’assolutezza del distacco. 
"Lo sgomento che mi abitava era più intenso perché era il doppio del loro stesso sgomento che non avevano saputo fronteggiare, elaborare, digerire, trasformare,(...) Ero cresciuta senza potermi appoggiare a loro, assorbendo le loro angosce e i loro incubi. Niente veniva mai detto, al contrario, facevamo come se fossimo una piccola famiglia senza storia: papà, mamma, la bambinaia e io, e invece erano in gioco Hitler, Stalin, la Storia e noi."
Collegando in una narrazione quei frammenti di esistenze l’autrice ha conferito “senso storico e significato morale” ad una vicenda familiare che si apre sullo scenario della Storia maiuscola; è riuscita a contrastare, con “la ricerca ostinata e brancolante, delle parole perdute” la smemoratezza di un’epoca, la nostra, che appare quella della precarietà e delle emozioni senza memoria.
A questo punto, anche se l’orrore è grande e non vuole essere tramandato non si può non ricordare una data: 27 gennaio, giornata della memoria. Un giorno che puntualmente ci chiede di dare una possibilità alla pace e di riflettere sul valore della memoria storica nel presente, anche alla luce dei tanti e tragici avvenimenti cui assistiamo quotidianamente.

sabato 9 gennaio 2016

RACCONTARSI: IL LABORATORIO DI SCRITTURA AUTOBIOGRAFICA CON LA RETE MAGICA

Abbiamo terminato il laboratorio di scrittura autobiografica presso "La Rete Magica", l'associazione forlivese che si occupa dei malati di Alzheimer e Parkinson e dei loro familiari.
L'ultimo giorno, i partecipanti sono stati coinvolti nelle riprese per un filmato allo scopo di raccogliere le loro impressioni e sensazioni al termine del percorso di scrittura. Dopo un lavoro appassionante il montaggio video è completo.
Prossimamente sarà presentato a tutti i soci.
Vi terremo aggiornati!!

martedì 5 gennaio 2016

LA NOTTE DELLA BEFANA

In attesa di questa notte speciale due
inviti alla lettura a cura di Loretta Buda

"La notte della befana" in Emma Perodi, Le novelle della nonna
Il pomeriggio è tardo e stanco come si addice ad un generico pomeriggio invernale. Fra poco accenderò la vecchia stufa di terracotta e provvederò che si mantenga calda per tutta la notte. Prima di coricami preparerò il latte in un tegamino e lo metterò sulla stufa, così la Befana potrà ristorarsi bevendo il latte tiepido. Sono certa che la “vecchia” verrà, i miei nipoti la aspettano e hanno già preparto la calza; io non attendo regali, mi concedo, fin da ora, il dono dell’attesa di una notte speciale. Sono felice di riconoscermi, senza imbarazzo, in quella parte bambina che attende il ritorno di una notte antica, una notte di attesa che mi prepara al racconto. Quindi, condivido un consiglio di lettura ripescato anche questo in una memoria antica: in una pubblicazione Salani del 1933.
Ritroviamo nuovamente la Befana in una raccolta di racconti di Anna Rosa Balducci, Nonni e re e anche un tre, Società Editrice Il Ponte Vecchio, Cesena, 2004

La sera della vigilia dell'Epifania, i bambini del vicinato giunsero a veglia al podere dei Marcucci con la loro calza in mano: alcuni allegri, altri con una faccia lunga come se qualcuno li avesse ben bene rimproverati. erano lì per sentire raccontare la storia dalla nonna "di casa". La storia de:
La Calza della Befana.(...)Allorchè la nonna se li vide tutti dintorno incominciò. Dovete sapere che al tempo dei tempi abitava sopra una vetta chiamata Monte Fattucchio, una vecchia lunga lunga, con certe braccia che parevano pertiche e una testa di capelli bianchi tutti arruffati. Nessuno aveva mai conosciuto da giovane codesta donna, eppure in paese vi erano de' vecchi di novanta e anche di cent'anni, che si rammentavano di tutto quel che era accaduto da un mezzo secolo in poi; ma la Befana l'avevan sempre vista vecchia, sempre vestita allo stesso modo, sempre a lavorare una calza rossa, che non finiva mai. Come campasse nessun lo sapeva, e neppure di che famiglia ella fosse. Non aveva parenti, e in casa non teneva altro che un gattone nero e una gallina spennacchiata. Tutti i giorni dell'anno, col solleone o con la neve, partiva di casa all'alba e andava nel bosco a far legna; la sera tornava col fastello delle legna in testa e con la calza in mano. Se le donne di Monte Fattucchio le domandavano: Dite, Befana, che ne fate di code ste legna che vi caricate sulle spalle tutti i giorni, indistintamente ?Lei rispondeva :-Ne faccio tizzi e cenere( ...)