domenica 24 gennaio 2016

PER PASSARE "IL TESTIMONE"

Invito alla lettura a cura di Astrid Valeck

Astrid Valeck-Ermes Fuzzi, L'eredità di Natalia, Il Ponte Vecchio, Cesena, 2008
Romanzo per una pedagogia della memoria.
Ha ricevuto numerosi premi letterari

Scrivo queste righe su invito di una carissima amica, Loretta Buda e del libro che ha recensito pochi giorni orsono, perché le vicende della Flem, in parte, rispecchiano il mio sentire per le vicende storiche della mia famiglia. E perché anche io ho avvertito l'esigenza di dare forma a questo sentire attraverso la scrittura.
Alcuni anni fa, esattamente nel 2008, Ermes Fuzzi ed io abbiamo scritto un romanzo.
Una scrittura a quattro mani non è affare da poco, ma è una delle esperienze più entusiasmanti che io ricordi. Sia Ermes che io avevamo un retroterra da conoscere e da narrare, e da lasciare in dono ai nostri figli. Qualcosa che era apparso improvvisamente nelle nostre vite quando eravamo già grandi.
È una grande opportunità, per uno scrittore, poter raccontare -in prima persona-come è nato il romanzo che ha scritto e cosa lo ha guidato e supportato.
Oggi potrei farlo a ritroso, con la ricchezza di quanto è avvenuto in questi otto anni. Però so di avere da conto, in fitti quaderni e lettere, l'evoluzione di questa nascita.
È così che ho trovato una lettera che il 22 settembre 2007 spedii al circolo di scrittura autobiografica a distanza di Anghiari. Il romanzo sarebbe stato pubblicato solo alla fine di quell'anno, uscendo tra i titoli de Il Ponte Vecchio a gennaio 2008.
Una scrittura in corso d'opera, quasi una pagina di diario, per raccontare l'evoluzione di una narrazione che stava prendendo la forma di un romanzo.
È da quella lettera che prendo lo stralcio che qui accludo, per ricordare il passato da cui provengo e che fare memoria, nel giorno della memoria, e in qualsiasi giorno dell'anno, è un atto di testimonianza che aiuta tutti a non dimenticare, soprattutto quando i testimoni storici rimangono in pochi. La mia storia, la storia di Ermes, non è una storia vissuta in prima persona, ma noi siamo i testimoni dei testimoni e il nostro compito è quello di passare il testimone.
L'idea iniziale era quella di fare un film.
Volevo scrivere e realizzare un film (e arriverò, prima o poi, a farlo) e invece ho scritto un romanzo.
Un romanzo al posto di un film.
Come sarà mai che una sceneggiatura abbia così radicalmente cambiato forma, si fa presto a dirlo.
Mi sono persa, volutamente persa tra le pieghe dei personaggi e le evocazioni dei luoghi.
La mia mano voleva andare in una direzione, il mio pensiero interiore in un altra. E ho dovuto prestargli ascolto.
Ho raccontato ciò che i miei occhi interiori percepivano e traducevano in immagini.
Ho passato anni a riempirmi di letture fino a saturare ogni mia percezione, c'è stato spazio per ogni emozione, ogni dettaglio, ogni biografia, anche ogni fandonia. Il malessere e la sofferenza che ho provato erano il sintomo di un lavorio interiore che accostava paradossi e che entrava in conflitto con se stesso, perché il quadro “non tornava”. La cosiddetta quadratura del cerchio non era possibile.
La sensazione era quella di limarsi il cervello, ma le forma non potevano combaciare, restavano distinte e ogni volta che provavano ad avvicinarsi provocavano scintille.
Si dice che essere creativi significa trovare soluzioni nuove a problemi vecchi.
A certi silenzi ostinati, le fonti, la ricerca, gli studi dei differenti autori possono solo fornire un'idea sfocata. Scrivere questo romanzo è la risposta creativa ad un grande vuoto “pieno”. Rappresenta un modo per cambiare punto di osservazione e saper cogliere la ricchezza che si nasconde dietro certi silenzi e dentro spazi che si presume siano vuoti, ma in realtà non lo sono ed è proprio focalizzando l'attenzione su di essi che il quadro si illumina e può essere visto.
A distanza di tempo, mentre leggevo un libro ho trovato questa citazione che sintetizza bene il mio pensiero: “A un certo stadio del processo creativo l'opera, che si tratti di un quadro o di una poesia o di una teoria scientifica, assume una vita propria e trasmette le proprie esigenze al suo creatore. Essa si separa da lui e fa appello al materiale che giace nel suo subcosciente. Il creatore deve quindi sapere quando è il caso di smettere di imprimere una direzione al proprio lavoro e lasciarsi invece guidare da lui. Egli deve in breve sapere quando è probabile, che la sua opera sia più saggia di lui”. (Chiedo scusa, ma non ho tenuto nota dell'autore e del libro).
La mia non è stata una scrittura organizzata sin da subito, anzi è vero il contrario. Le pagine scaturivano dalla penna sulla scia di una spinta interiore che mi pareva sconclusionata. Tante immagini diverse ed emozionalmente intense.
Pagine scaturite, spesso, con estrema fatica, quasi che ciò che avevo da raccontare premesse per uscire, ma nel contempo non potesse farlo. Normalmente, rimossi ostacoli che si rivelavano leggeri come un velo ma all'apparenza pesanti come un muro, le parole correvano fluide e inarrestabili sulla carta.
Ci sono ancora delle pagine che vorrebbero esprimere più di quanto dicono, ma non riesco a colmare quei vuoti. Forse più avanti, o forse resterà così.
Ho fatto un lavoro disumano di ricostruzione e liberazione interiore, e una ricerca storica puntuale.
Abbiamo espresso questo cammino (mio e di Ermes) attraverso una modalità comunicabile anche ad altri -ecco il perché della forma del romanzo- affinché questo frammento di memoria che non appartiene solo a me (a noi) ma presumo alle generazioni a venire, diventi un po' meno memoria individuale e un po' più memoria collettiva.
La “lezione” che ho trovato e che mi è stata lasciata desidererei divulgarla quanto più possibile – da qui l'idea iniziale di scrivere una sceneggiatura per il cinema; le storie raccontate attraverso le immagini sono fruite da un numero elevato di persone, incontrano più persone della parola scritta – ma anche un romanzo, scritto con un linguaggio semplice (quasi narrato sottovoce) , costruito come un poliziesco, con un intreccio sorprendente, magari letto ad alta voce, con descrizioni che aiutano ad evocare immagini e denso di dialoghi dovrebbe, a mio avviso, stuzzicare a pensare, a interrogarsi, a conoscere.”


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