sabato 28 giugno 2025

RISONANZA E AUTOBIOGRAFIA: una possibile “pratica” per la teoria di Hartmut Rosa


(Astrid Valeck)

Il tempo è l’unica cosa che nessuno,

nemmeno una persona riconoscente,
ci può restituire.
Seneca


Sono convinta che riflettere su di sé, recuperare il proprio passato, scrivere la propria storia esistenziale siano un modo per decelerare e entrare in risonanza con quanto ci circonda, recuperando le relazioni che intercorrono tra noi e il mondo, tra noi e gli altri.

La mano che scrive – per quanto il gesto grafico possa essere rapido – chiede un movimento che costringe il pensiero a sostare, in attesa che l’inchiostro prenda forma sulla carta.

In questa sospensione, che apre inevitabilmente alla riflessione, si realizza quello che Mezirow definisce apprendimento trasformativo (2016): un processo che ci permette di rileggere in modo metariflessivo le nostre esperienze e ripensare i presupposti con cui interpretiamo la realtà. Di fatto ci apre a nuove prospettive di senso.
L’autobiografia, secondo questa chiave interpretativa, rappresenta uno strumento privilegiato per attivare cambiamenti profondi nel modo di vedere sé stessi e il mondo.

Tempo e alienazione

Tutti corriamo perché temiamo di rimanere indietro: nell’acquisto dell’ultimo prodotto tecnologico, nell’adottare un’innovazione, nello svolgere un compito. Ma tecnologie e innovazioni si susseguono in modo troppo frenetico e non consentono un pieno apprendimento nel loro uso né di essere investite di significato. Le percepiamo come poco importanti e distanti da noi, non riusciamo a sentirle nostre. Le cose non invecchiano più, non hanno più storie da raccontarci perché ce ne disfiamo con tale velocità che non hanno il tempo di divenire familiari. La memoria non fa in tempo ad associare oggetti a fasi della nostra vita e questo ci fa vivere con un senso di estraneità e di poca affezione ciò che ci circonda.

Le teorie degli studiosi sono illuminanti, per quanto mettono in luce e per come spiegano i fenomeni che viviamo, ma riconosco agli scrittori qualcosa in più: la capacità di leggere il nostro presente e di restituirlo con chiarezza al lettore. Permettono anche a chi non si avvicinerebbe mai ad un saggio di illuminare passaggi della propria interiorità e comprendere il tempo storico in cui vive.
Quello tra scrittore e lettore è un incontro di sensibilità. Le parole deposte sulla carta viaggiano e si dispongono a risuonare in chi presta occhi, orecchie e cuore a quelle parole. Spesso aprono scenari che lo scrittore nemmeno immaginava. Zambrano lo spiega bene quando afferma: <<il segreto si rivela allo scrittore mentre lo scrive, non quando lo pronuncia>> (1996, p. XXI), e spesso il lettore, proprio mentre intuisce un segreto celato dalla scrittura e riemerso attraverso i propri filtri emotivi, può leggere se stesso. La lettura offre alla parola scritta la possibilità di far risuonare il lettore. Un po’ come accade alle corde di uno strumento musicale. La vibrazione di una nota richiama e porta a risuonare la corda che gli è vicina, sebbene essa sia di un’ottava maggiore o minore. Le corde sono silenziose, ma non appena avviene la vibrazione giusta, quella che le è affine, si muove anch’essa.
Questo meccanismo avviene anche tra le parole scritte e il canale visivo del lettore. Le parole iniziano a vibrare, e quel particolare segreto deposto sulla carta dallo scrittore incontra e risuona in chi sta leggendo, richiama qualcosa di profondo che, senza quella particolare sollecitazione, non avrebbe mai suonato. Per questo ci sono libri che sentiamo come particolarmente significativi: operano in noi un effetto rischiaratore, ci sentiamo toccati e in comunione con loro.
La scrittura è quella tecnica che sa creare risonanza tra sé e sé, tra sé e gli altri, tra sé e il mondo. La scrittura autobiografica vi aggiunge qualcosa in più: offre agli uomini una tregua dalla frenesia della vita. Una tregua che non è stasi, ma cura di sé.
Nell’intimità della scrittura, nel silenzio che essa richiede, in quello spazio prezioso la stanza tutta per sé che descriveva Virginia Woolf, ogni più piccola parte di sé trova modo di essere accolta e ascoltata. In quest’azione di attenta predisposizione ad ascoltarsi, di ricerca di quanto appreso da sé stessi e di meta-riflessione si dà modo di rispondere in modo positivo al proprio tempo interiore.

Il tempo è una musica che risuona dentro di noi

Romanzieri e poeti, ne hanno contezza, e parlano direttamente al cuore di chi legge. La comunicazione avviene su un piano che va oltre i segni grafici che compongono le parole: cerca corde da far vibrare all’unisono. Si dà movimento a una musica che non si sente con le orecchie ma si percepisce con la parte più profonda di sé.

Esempi in tal senso sono il romanzo Gli anni di Annie Ernaux, e Momo di Michel Ende. Due libri molto diversi. La prima, un’autobiografia e il secondo un romanzo per ragazzi. Entrambi però incentrati sul rapporto dell’uomo con il tempo e il bisogno che questo sia denso di significato e sia capace di creare risonanza.
Ernaux scrive la propria autobiografia in modo impersonale, quasi a prendere le distanze da sé stessa e da un male di vivere che riconosce come risposta ad un presente accelerato. In poco meno di trecento pagine ripercorre decenni di vita della società francese, intrecciandola con la propria. Un’analisi storico-sociologica capace di illuminare i cambiamenti sociali che tutti stiamo vivendo e come essi abbiano ricadute sull'esperienza individuale di ognuno, portando a forme di alienazione subdole e pervasive. Il romanzo di Ernaux mostra una società in perenne e rapida trasformazione e quanto ciò incida sul senso di appartenenza con le cose e nelle relazioni.

<<Eravamo sopraffatti dal tempo delle cose. Si era rotto l’equilibrio mantenuto a lungo tra la loro attesa e la loro comparsa, tra la privazione e il possesso. La novità non suscitava più dibattiti né entusiasmo, non ossessionava più l’immaginario. Era integrata nel quadro stesso dell’esistenza. Forse un giorno sarebbe scomparso il concetto stesso di nuovo, come già, inesorabilmente, stava scomparendo quello di progresso. S’intravedevano possibilità illimitate per ogni cosa>>. (2015, p. 242)

L’inarrestabile corsa descritta da Ernaux si riflette anche nell’accelerazione del ritmo di vita e nella conseguente sensazione di inadeguatezza. La sua percezione è anche la nostra di lettori: una costante pressione a stare al passo, a sostenere ritmi imposti dall’esterno, con un senso di obbligatorietà che non ci appartiene e che ci fa sentire (e fa sentire la protagonista de Gli anni) in “costante ritardo”. L’esistenza appare come frammentata in una successione rapida di momenti da cui ci si sente scollegati, quasi appartenessero a qualcun altro, e contribuisce a farci sentire alienati dal nostro autentico vissuto.
Ma quando si parla di educazione e di apprendimento, che cosa significa “essere indietro”?
Se è vero che non tutti i bambini hanno gli stessi ritmi e che per ognuno dobbiamo garantire spazio e tempo per imparare, allora il ritmo imposto dai programmi potrebbe non essere adeguato per tutti.
Siamo tutti parte del medesimo ingranaggio e l’accelerazione sociale di cui teorizza Rosa (2015) coinvolge noi docenti come i nostri alunni. Il fenomeno dell’accelerazione, nella didattica, si manifesta nella forma di quelle che potremmo definire "mode pedagogiche" che, presentate come "innovazioni", diventano rapidamente obsolete. Questo impone ai docenti una rincorsa frenetica a metodologie e strumenti, pena l'essere considerati non "al passo con i tempi". Esempi lampanti sono l'uso delle nuove tecnologie (tablet, PC, cloud, software e applicazioni varie, digital board…) o di metodologie didattiche (CLIL, debate, flipped classroom, project-based learning, didattica per competenze, ecc.). La tenuta psico-emotiva dei docenti è, quindi, messa a dura prova da queste innovazioni in continuo cambiamento, che non prevedono il tempo per l'assimilazione e l'approfondimento.
Quest’ansia, data dal troppo che cambia troppo velocemente, senza consentire reale apprendimento, parrebbe essere alla base di tanto stress per i docenti e, a cascata, per gli alunni. Se ognuno di noi insegna se stesso, noi docenti di questo presente, cosa stiamo insegnando?

Tecnologia e perdita di sé

<<Nella mescolanza dei concetti era sempre più difficile trovare una frase per sé, la frase che, pronunciata in silenzio aiuta a vivere. 
Su internet bastava scrivere una parola chiave per essere travolti da migliaia di <<siti>>, per attingere in disordine a pezzi di frasi che ci trascinavano verso altri brandelli di testi in una caccia al tesoro eccitata, piccole scoperte rilanciate all’infinito, di ciò che non stavamo cercando.>> (Ernaux 2015, p. 244)

Questo stesso fenomeno accade con molte applicazioni e social. Si apre il browser con un’idea e, presto, ci si perde in un mondo che non si aveva preventivato né si stava cercando. Che dire poi del potere infinito dell’intelligenza artificiale? Accalappia e porta a smarrirsi sempre di più, a perdere sé stessi e le proprie capacità, cedendo a lei ogni forma di ragionamento. Offre scenari talmente molteplici e variegati e interessanti, sicuramente utili per l’apertura mentale, ma poi vuole della persona la cosa più importante: il suo tempo e la sua capacità di riflessione autonoma. Un po’ come la storia della Sirenetta (H. C. Andersen): le gambe in cambio della voce. Ti snaturo e tu non sai più chi sei.

<<Sembrava che si potesse fare propria la totalità della conoscenza, che si potesse penetrare nella molteplicità di tutti i punti di vista esposti nei blog [...]>> (Ernaux 2015, p. 244)

La presenza massiccia delle tecnologie nelle nostre vite e la possibilità-obbligo di essere sempre connessi, unito alla velocità di performance richiesta ad ognuno e ad ogni età ha fatto saltare anche i ritmi di vita. Si “deve” sempre essere connessi e disponibili anche oltre l’orario di lavoro. Non esiste più giorno o notte, ferie, festività o malattia, tanto che sono nati movimenti per pretendere qualcosa che dovrebbe essere del tutto naturale: il proprio tempo libero. Libero dall’essere sempre al servizio di altro o di altri. Si parla infatti di diritto a disconnettersi o di limitazione al digital working time1.

Risonanza e infanzia

È a questo livello che mi pare utile rivolgersi a Ende e alla sua Momo. Si fa presto a dire: è un romanzo per ragazzi. Sicuramente la protagonista è una bambina e sicuramente molti dei personaggi secondari sono bambini. Ende esprime spesso, nei suoi romanzi, un’attenzione e una fiducia totale nei confronti dell’infanzia. L’unica a saper vedere quanto lo sguardo ormai privo di luce degli adulti non sa fare brillare. L’infanzia ha tempo da perdere, mentre gli adulti il loro tempo lo hanno ceduto ad altri e a qualcos’altro che li tiene prigionieri, benché loro potrebbero benissimo sciogliersi dalle catene e andarsene liberi.

È il medesimo concetto che esprime H. Rosa (2015) quando parla di retorica del dovere, e del senso di obbligatorietà auto-imposto verso il “fare” per forza, quando nessuno ce lo impone.

<<[...]legittimiamo sempre ciò che stiamo facendo ai nostri occhi e agli occhi degli altri richiamandoci a qualche istanza esterna: «devo davvero andare al lavoro adesso, devo finire di compilare il modulo. [...]
La lista è infinita e [...]ogni anno dobbiamo correre sempre più in fretta per mantenere il ritmo. [...] tutto ciò è la conseguenza della gara di accelerazione guidata dalla competitività, che ci tiene prigionieri di una ruota da criceto che va sempre più veloce e non si ferma mai. Ma spiega anche come le società moderne soddisfino il proprio bisogno di coordinazione, regolazione e sincronizzazione delle loro lunghissime catene di dipendenza reciproca: implementando le norme temporali, con il dominio di orari e scadenze, il potere del poco preavviso e dell’immediato e la logica della gratificazione e reazione istantanee. [...] l’effetto principale [è quello] di produrre soggetti colpevoli: alla fine della giornata ci sentiamo tutti in colpa, perché non abbiamo soddisfatto le aspettative. Non siamo mai in grado di arrivare alla fine della nostra «lista di cose da fare», anzi la distanza dal fondo di quell’ammasso di roba cresce ogni giorno.>> (2015, pos. 1049)

È interessante la posizione sul “tempo da perdere”, perché pone un quesito: il tempo perso è veramente tempo perduto? O non è per caso, il tempo impegnato ad essere tempo perduto?
Dice C. Fabris nel suo piccolo dizionario proposito della parola “impegnato”

<<Sei impegnato
se sei stato dato in pegno
A chi? e in cambio di che cosa?
L’hai fatto da solo?
E cosa dovrai pagare per riscattarti
e tornare ad essere te steso?
Curiosamente molti esseri umani oggi ci tengono molto ad essere sempre impegnatissimi esibendo talvolta con orgoglio questa loro condizione di ostaggi costantemente impegnati.>> (2020, pos. 1031)

Il romanzo di Ende si pone proprio a questo livello e la storia che narra intreccia tempo, impegno, relazione, infanzia e mondo adulto.
La tesi di Ende è che il tempo debba essere reso denso e dilatato, perché solo chi ne riconosce il valore e lo vive con lentezza lo può moltiplicare. Il tempo è inteso come relazione della cura, dell’attesa, dell’ascolto. Momo, la piccola protagonista del suo romanzo, sa ascoltare: la sua postura nei confronti dell’altro è di ascolto paziente e dedicato, un tempo che non è multitasking ma sequenziale. Un tempo decelerato. In questo modo esso acquisisce un valore nuovo e si amplifica. Non è nella velocità delle azioni che si guadagna tempo, ma nel rallentare. Andare piano, un passettino dopo l’altro, fa compiere molta più strada che spingere nella corsa -fa dire Ende a due dei suoi personaggi: Beppo Spazzino e la tartaruga Cassiopea. Si arriva in fondo con tutto il fiato che serve e la consapevolezza e la gioia di aver svolto bene il proprio lavoro, qualunque esso sia. Il romanzo di Ende insegna anche questo: ad essere soddisfatti di ciò che si ha e si è, senza rincorrere nulla di più che tenderebbe ad allontanare dalla propria autenticità.
Il valore del tempo risiede quindi nel cuore degli uomini.
Questo tempo però viene perduto, in quanto ceduto volontariamente dagli adulti a fantomatici uomini grigi e alla loro banca del tempo, nella convinzione di poterlo mettere da parte come “tempo libero” di cui usufruire in futuro. Un futuro che non arriverà mai, perché le promesse degli uomini grigi sono solo fandonie. Gli adulti saranno presi in un vortice di accelerazione che li porterà ad ottimizzare il loro tempo di vita per compiere quante più azioni possibili nel minor tempo e guadagnare economicamente sempre di più, eliminando dalle loro esistenze tutte quelle attività che sottraggono tempo alla produzione: sonno, amicizia, chiacchiere, cura dell’altro e del mondo, ecc… di fatto divenendo sempre più cupi e tristi e arrabbiati e portando a quella che Ende definisce “noia mortale”.

<<[...]la grande città [...]ormai non riposava più nemmeno a notte alta.
Gli uomini andavano e venivano in fretta, irrequieti, frenetici, enorme moltitudine che si ammucchiava, si urtava, ti buttava da parte con ingiurie, ti investiva impaziente e intollerante, oppure trottava in file senza fine – uno dietro l’altro – indefessamente. Sulle strade di grande traffico incalzavano le automobili e tra di esse rombavano enormi autobus sovraccarichi di gente. Sulle facciate delle case si accendevano e si spegnevano di continuo le insegne luminose che inondavano la mischia con le loro luci policromiche.>> (2011. pp. 117-118)

Agli uomini, e solo a loro, tocca decidere come impiegare il proprio tempo, ma soprattutto difenderlo. Il concetto di difesa richiama la capacità di “dire di no”, di preservare ciò che arricchisce la vita. Vanno individuate le priorità che rendono un’esistenza, una “vita buona” (Rosa, 2015).
Il tempo è guadagnato, e moltiplicato, solo se è volto alla cura. Il tempo donato è quello che arricchisce le persone. Non la fretta, nella convinzione che facendo molte cose in poco tempo si ottenga sempre di più, bensì la pausa data dall’ascolto con tutto sé stessi agli altri.
Decelerare attraverso il tempo del cuore. Non a caso, per gli antichi, la memoria risiedeva in esso, e uno dei verbi della memoria: ricordare, significa proprio questo: riportare al cuore, alle emozioni vissute.
Vivere il presente con presenza: esser-ci, perché è un tempo che presentandosi nell’istante, di fatto non esiste, ma senza di esso non ci sarebbero neppure passato e futuro. Sapere che la declinazione che si dà al tempo in passato, presente, futuro individua proprio nel presente, in quell’attimo che prima è futuro e subito diviene passato, la chiave per vivere il proprio tempo di vita. Senza il presente non ci sono nemmeno passato e futuro. Anche Sant’Agostino affidava al presente la medesima funzione. Tocca al presente aprire tutte le porte: il presente del passato, ovvero la memoria; il presente del presente, cioè la visione: il presente del futuro, ovvero l’attesa.
<<Se futuro e passato esistono, vorrei sapere dove hanno sede. Se per ora non ci riesco, so però che, dovunque siano, non vi sono come futuro e passato, ma come presente; perché se anche là sono come futuro o come passato, o non vi sono ancora o non vi sono più. Quindi, dovunque essi siano, comunque siano non vi sono che in forma di presente.>> (Sant’Agostino, 1997, p. 323)
Ende, per rendere comprensibile questo concetto ai suoi giovani lettori, lo trasforma in un indovinello. Di fatto conduce i ragazzi a riflettere, in modo filosofico, sul tempo:

<<In una casa ci stan tre fratelli
che a volte sono brutti e a volte belli.
Essi sono realmente
l’un dall’altro differente.
Ma se a distinguerli tu proverai
uguali identici li troverai.
Il primo non c’è perché sta giungendo.
Il secondo non c’è perché sta uscendo.
C’è solo il terzo, il minore dei tre,
ma non ci son gli altri se il terzo non c’è.
E questo terzo su cui mi diffondo
esiste solo perché nel secondo
il primo si trasforma, moribondo.
Se poi guardare tu lo vorrai
uno degli altri fratelli vedrai.
Dimmi, bambina, i tre sono uno?
O solo due? – oppure nessuno?[...]>> (2011, pagg 146-147)

La domanda che ci si può porre è, allora, che cosa sia il tempo.
Secondo Ende, è una musica che risuona dentro di noi. Tutti gli uomini hanno <<un cuore per percepire il tempo. E tutto il tempo che il cuore non percepisce è perduto [...]>> (2011, p. 152).
La chiave per non perdere il proprio tempo sta quindi, come anche ipotizzato da Rosa, nella possibilità di creare risonanza tra sé e il mondo, tra sé e gli altri. Trovare la musica che è dentro di noi e lasciare che possa risuonare.

L’autobiografia: un approccio pedagogico slow

Tutta questa accelerazione ha ricadute significative sull'apprendimento, sulla crescita dei bambini e sull'educazione in generale. Che tipo di educazione stiamo realmente mettendo in opera come educatori e come insegnanti?

Come si esce da questa spirale?
C’è sicuramente bisogno di un approccio pedagogico “slow” e di un nuovo rapporto con il tempo, in modo da recuperare quegli spazi di riflessività e di scelta autonoma che sono alla base di una vita buona.
Facendo proprio un atteggiamento “slow”, e riponendo per un momento la fretta di imparare il funzionamento dell’ultima innovazione, potrebbe essere utile rivolgersi a una teoria che è anche metodologia e pratica. Per nulla innovativa perché ha radicato con pazienza e che, se soltanto la prendessimo in considerazione senza considerarla superata o troppo impegnativa, potrebbe validamente rappresentare una via per decelerare e, nel contempo, aiutare la costruzione di una vita buona.
Una teoria che è anche genere narrativo, ma che in questo momento ci interessa per la grande risorsa che rappresenta come metodo formativo e autoformativo: l’autobiografia.
A volte pare di trovarsi di fronte alla scoperta dell’acqua calda e a un diffuso rifiuto di volerlo riconoscere.
Nella rincorsa costante alle innovazione pedagogiche e didattiche, al dover fare scelte formative sulla base di fondi che vengono stanziati, e devono essere spesi in direzione di quelle innovazioni che presto saranno superate da altre in arrivo, ci si dimentica che vi sono metodologie che resistono all’accelerazione perché fanno proprie il valore della riflessività e della cura.
Ci si dovrà interrogare su quanto buone prassi e innovazione possano avere realmente in comune, e quanto, al contrario, una buona prassi sia qualcosa di consolidato e appreso con pratica costante e duratura. Cioè realmente assimilato e praticato.
Senza entrare anche in queste questioni, qui mi preme far presente che l’autobiografia è un campo di studi interdisciplinare che affonda le sue radici nella letteratura, nella storia, nella psicologia, nella sociologia e in altre discipline. Possiede una sua storia teorica, con concetti chiave, modelli interpretativi, dibattiti metodologici e figure di riferimento (come Philippe Lejeune, Duccio Demetrio, Cosimo Laneve, Michael Foucault, solo per citarne alcuni).
L’autobiografia nutre un interesse profondo per l’esperienza del soggetto, la ricerca di significato e la possibilità di trasformazione attraverso la relazione con sé stessi, con gli altri, con il mondo. È molto più di una pratica narrativa: insegna a sostare, ascoltarsi, trasformarsi. È volta alla cura di sé e del mondo che ci circonda, con particolare attenzione alle relazioni. Aiuta a creare risonanza e predispone ogni uomo, sia esso bambini o adulto, verso una vita buona.
In un tempo in costante accelerazione, la scrittura di sé rappresenta quell’azione lenta e resistente di cui abbiamo tutti bisogno, capace di riconnettere ciascuno al senso del proprio vivere e al valore del tempo.

Bibliografia

Cioran E., 2001
La caduta nel tempo, Mondolibri s.p.a., Milano.

Demetrio D., 2009
L’educazione non è finita. Idee per difenderla, Raffaello Cortina Editore, Milano.

Ende M., 2011
Momo, SEI, Torino.

Ernaux A., 2015
Gli anni, L’Orma Editore, Roma.

Fabris C., 2020
Parole sotto sale, AnimaMundi edizioni, e-book.

Foer J., 2007
Ogni cosa è illuminata, Superpocket, Milano.

Laneve C., 2016
Scrivere tra desiderio e sorpresa, editrice La Scuola, Brescia

Mezirov J., 2016
La teoria dell’apprendimento trasformativo. Imparare a pensare come un adulto, Raffaello Cortina Editore, Milano

Rosa H., 2015
Accelerazione e alienazione: per una teoria critica del tempo nella tarda modernità, Piccola Biblioteca Einaudi, e-book.

Rosa H., 2023
Risonanza e vita buona. Educazione e capitalismo accelerato, Editrice Morcelliana, Lavis.

Sant’Agostino, 1997
Le confessioni, BUR, Milano.

Seneca, 2010
Lettere a Lucilio, BUR, Bergamo.

Woolf V., 2010
Una stanza tutta per sé, Newton Compton, Roma.

Valeck A, 2025
Bambini autobiografi. Approcci innovativi per la scuola dell’infanzia e primaria, Persiani, Bologna

Zambrano M., 1996

Verso un sapere dell’anima, Raffaello Cortina Editore, Milano.




1 La legge 81/2017 è il principale riferimento normativo per il diritto alla disconnessione in Italia, anche se non lo definisce come un diritto assoluto e lascia spazio alla contrattazione individuale. 

mercoledì 11 giugno 2025

NEL SEGNO DI UNA STORIA. Laboratori artistici-autobiografici con Trallalaura e Astrid Valeck

Si è concluso ieri sera il ciclo di incontri curato dall’artista Trallalaura e dalla scrittrice Astrid Valeck dal titolo “Nel segno di una storia” con la collaborazione del Comune di Meldola. Il percorso si è snodato attraverso quattro laboratori, ognuno un viaggio a sé, ma tutti legati dal comune desiderio di dare voce al proprio mondo interiore. Ogni laboratorio è stato un invito a riscoprire la propria voce segreta, quella che abita le case della memoria, quella che emerge dai silenzi e dalle tracce invisibili lasciate dal tempo.
C'è un filo invisibile che lega il respiro del passato al battito del presente, un sentiero sottile dove la memoria fiorisce e l'immaginazione danza. In questo spazio magico hanno trovato espressione i laboratori autobiografici e artistici proposti dalla nostra associazione parolefatteamano APS, veri e propri nidi di accoglienza per chiunque desiderasse esplorare le profondità del racconto di sé. Sono stati percorsi intensi, un'esperienza che ha nutrito l'anima e risvegliato la creatività, lasciando un'eco emozionante in ogni partecipante.
In un mondo che corre, questi laboratori sono stati un'oasi, un tempo prezioso per sé, per riscoprire il ritmo lento dei gesti artigianali. Un invito a nutrire il piacere di scrivere e di creare con le proprie mani, a tessere fili di parole e colori per dare forma a ciò che dimora dentro. L'obiettivo non è stato solo quello dell'espressione personale, ma anche quello della riscoperta della creatività come strumento di conoscenza, un ponte verso sé stessi e il mondo. E così, tra la semplicità di carta, colori e parole, si sono create occasioni di incontro, dialogo e condivisione.

 Ecco i quattro laboratori:

Un quadro blu: la natura che racconta

A volte, per narrare, basta una foglia, un piccolo fiore, una carezza di luce. Nel laboratorio "Un quadro blu", la natura stessa è diventata traccia e memoria. Attraverso l'antica arte della cianotipia, sono state impresse su carta forme delicate. Poi, seguendo il filo sottile delle immagini create, la scrittura autobiografica ha dato voce a ricordi e sussurri interiori, creando un quadro naturale, un gesto di luce e parole da custodire o regalare.

Lettera Mia: ponti di parole e sentimenti

Quante lettere abbiamo scritto a mano? Quante ne abbiamo custodite nel cuore? Durante il laboratorio "Lettera mia", si è tornati al tempo lento della scrittura a mano, creando missive uniche e speciali. Intrecciando parole, disegni, simboli e piccoli segreti, è stato costruito un messaggio personale e autentico. Un rito antico, quello dell'imbustare, lasciando sospesa la possibilità di conservarla come un tesoro personale. Un dono autobiografico fatto di carta, penna e verità delicate.

Diario di viaggio: impronte dell'anima

C'è chi conserva biglietti e fotografie, chi tiene tutto nella memoria. Durante il laboratorio "Diario di viaggio", si è data forma concreta ai propri ricordi, creando un piccolo taccuino tascabile, compagno di viaggi interiori ed esteriori. Piega dopo piega, pagina dopo pagina, è nato uno spazio personale dove raccogliere parole, immagini, tracce e sogni. Un diario pronto a custodire sguardi, frammenti di mondo, e a trasformare ogni esperienza vissuta in una pagina unica, viva di emozioni e segni.


Parole silenziose: il respiro dell'inespresso

Ci sono parole che abitano il silenzio, troppo delicate per la voce, che attendono solo di essere ascoltate. In "Parole Silenziose", si è dato spazio all'attesa, lasciando che immagine e colore guidassero la penna, nel silenzio fertile che permette a ciò che ci abita di germogliare. Tra trame di segni, sfumature e parole appena sussurrate, sono state costruite piccole opere poetiche, lavori visivi e intimi che custodiscono, tra colori e forme, qualcosa di profondamente personale. Perché a volte, le assenze stesse raccontano la storia di presenze, e in una stanza vuota, le impronte di una sedia o la polvere sui vetri possono rievocare rumori e profumi, riportandoci a un tempo passato che credevamo dimenticato.

martedì 10 giugno 2025

"Andare altrove restando qui": quando la lettura si fa autobiografia

Sabato 24 maggio la Biblioteca Comunale “Francesco Torricelli” di Meldola ha ospitato un
laboratorio davvero speciale che ha unito due mondi apparentemente distinti, ma in realtà profondamente legati: la lettura e la scrittura autobiografica.
L'incontro, intitolato "Andare altrove restando qui", ha registrato un'appassionata partecipazione di pubblico, a testimonianza del crescente interesse verso le pratiche di scrittura di sé.
Promosso dalla nostra APS "parolefatteamano", realtà attiva da ben tredici anni nella diffusione della cultura autobiografica in Romagna, e patrocinato dal Comune di Meldola, l'iniziativa si è rivelata un'opportunità preziosa per esplorare il valore intrinseco della scrittura autobiografica e la sua inaspettata relazione con l'esperienza della lettura.

Un viaggio tra pagine e vita vissuta
Il laboratorio, condotto da Ermes Fuzzi, autore del volume "Andare altrove restando qui" (Persiani Editore, 2024), e formatore della Libera Università dell’Autobiografia di Anghiari, ha guidato i partecipanti in un percorso affascinante. L'idea centrale è semplice ma potente: quando leggiamo un romanzo, non siamo semplici spettatori. In qualche modo misterioso, le storie che incontriamo si connettono con la nostra vita, risvegliando ricordi, emozioni, riflessioni. Ed è proprio nel momento in cui proviamo a mettere nero su bianco la nostra esperienza di lettori che, quasi inevitabilmente, ci ritroviamo a fare autobiografia.

Il laboratorio ha esplorato a fondo questi "nessi" tra ciò che si legge e ciò che la lettura riflette sulle singole esperienze di vita, utilizzando le metodologie autobiografiche per creare un dialogo generativo tra le diverse "culture individuali" dei partecipanti. Un'esperienza che si è rivelata non solo formativa ma anche profondamente arricchente sul piano personale.


Un libro in omaggio e un invito alla riflessione
Un gesto apprezzato dai partecipanti è stato l'omaggio del libro di Ermes Fuzzi, "Andare altrove restando qui", offerto dal Comune di Meldola, un valore aggiunto che ha permesso a tutti di portare a casa un pezzo di questa significativa esperienza.
I partecipanti erano stati invitati a portare il proprio romanzo preferito, un quaderno e una penna: pochi semplici strumenti per intraprendere un viaggio dentro sé stessi, guidati dalle parole degli altri e dalle proprie. L'iniziativa, già sperimentata con successo in diverse occasioni, dimostra come la cultura autobiografica possa fiorire e trovare terreno fertile in luoghi come le biblioteche, diventando un ponte tra la narrazione altrui e la riscoperta della propria.


mercoledì 7 maggio 2025

A Meldola "NEL SEGNO DI UNA STORIA" laboratorio artistico autobiografico

“Nel Segno di una Storia” il laboratorio artistico autobiografico di Laura Fuzzi e Astrid Valeck

Prendersi il tempo per ascoltarsi, rallentare e tornare a creare con le proprie mani: è questa la proposta del ciclo di laboratori per adulti “Nel Segno di una Storia”, organizzato dall’associazione parolefatteamano APS, con la collaborazione dell'Assessorato alla Cultura e la biblioteca comunale “F. Torricelli” di Meldola.

Quattro appuntamenti serali — il 20 e 27 maggio, il 3 e il 10 giugno 2025, dalle ore 20.00 alle 22.30 — ospitati presso la sala P.I.T. dell’Arena Hesperia (Via XXIV Maggio, 4 – Meldola), offriranno ai partecipanti l’occasione di esplorare il legame tra memoria e creatività, narrazione di sé e linguaggio visivo.


A guidare i laboratori saranno:

Laura Fuzzi, artista visiva, illustratrice e formatrice in ambito creativo, da anni attiva nella promozione di laboratori espressivi per adulti e ragazzi;
Astrid Valeck, scrittrice e formatrice in metodologia autobiografica, con una lunga esperienza nella conduzione di percorsi narrativi individuali e di gruppo.

Ogni laboratorio è autoconclusivo e indipendente, ma chi lo desidera potrà partecipare all’intero ciclo. Ogni incontro sarà dedicato a un tema e a una tecnica diversa, sempre con l’obiettivo di valorizzare il potere evocativo delle parole, della carta, del gesto.

📌 Tutti i materiali saranno forniti dall’organizzazione.

📲 Per informazioni, iscrizioni o domande: Laura 329.1891637 (anche WhatsApp)

I laboratori in programma:

🟦 Un quadro bluMartedì 20 maggio
Tra luce e parole: un laboratorio ispirato alla natura e alla tecnica antica della cianotipia, con la realizzazione di un’immagine artistica accompagnata da scrittura autobiografica.



✉️ Lettera miaMartedì 27 maggio
Una lettera scritta e illustrata da sé, come dono o come messaggio da custodire. Un viaggio nel tempo della parola intima e della memoria affettiva.



📖 Diario di viaggioMartedì 3 giugno
Costruzione artigianale di un taccuino personale: una mappa emotiva fatta di segni, sogni, parole e frammenti di vita da raccogliere e trasformare.



🌫️ Parole silenzioseMartedì 10 giugno
Uno spazio visivo e poetico per dare spazio a ciò che è in attesa: tra scrittura, colori e trasparenze, creeremo un’opera che custodisce ciò che merita ascolto.