Il tempo è l’unica cosa
che nessuno,
ci può restituire.
Seneca
Sono
convinta che riflettere su di sé, recuperare il proprio passato,
scrivere la propria storia esistenziale siano un modo per decelerare
e entrare in risonanza con quanto ci circonda, recuperando le
relazioni che intercorrono tra noi e il mondo, tra noi e gli altri.
Tempo e alienazione
Tutti
corriamo perché temiamo di rimanere indietro: nell’acquisto
dell’ultimo prodotto tecnologico, nell’adottare un’innovazione,
nello svolgere un compito. Ma tecnologie e innovazioni si susseguono
in modo troppo frenetico e non consentono un pieno apprendimento nel
loro uso né di essere investite di significato. Le percepiamo come
poco importanti e distanti da noi, non riusciamo a sentirle nostre.
Le cose non invecchiano più, non hanno più storie da raccontarci
perché ce ne disfiamo con tale velocità che non hanno il tempo di
divenire familiari. La memoria non fa in tempo ad associare oggetti a
fasi della nostra vita e questo ci fa vivere con un senso di
estraneità e di poca affezione ciò che ci circonda.
Quello tra scrittore e lettore è un incontro di sensibilità. Le parole deposte sulla carta viaggiano e si dispongono a risuonare in chi presta occhi, orecchie e cuore a quelle parole. Spesso aprono scenari che lo scrittore nemmeno immaginava. Zambrano lo spiega bene quando afferma: <<il segreto si rivela allo scrittore mentre lo scrive, non quando lo pronuncia>> (1996, p. XXI), e spesso il lettore, proprio mentre intuisce un segreto celato dalla scrittura e riemerso attraverso i propri filtri emotivi, può leggere se stesso. La lettura offre alla parola scritta la possibilità di far risuonare il lettore. Un po’ come accade alle corde di uno strumento musicale. La vibrazione di una nota richiama e porta a risuonare la corda che gli è vicina, sebbene essa sia di un’ottava maggiore o minore. Le corde sono silenziose, ma non appena avviene la vibrazione giusta, quella che le è affine, si muove anch’essa.
Questo meccanismo avviene anche tra le parole scritte e il canale visivo del lettore. Le parole iniziano a vibrare, e quel particolare segreto deposto sulla carta dallo scrittore incontra e risuona in chi sta leggendo, richiama qualcosa di profondo che, senza quella particolare sollecitazione, non avrebbe mai suonato. Per questo ci sono libri che sentiamo come particolarmente significativi: operano in noi un effetto rischiaratore, ci sentiamo toccati e in comunione con loro.
La scrittura è quella tecnica che sa creare risonanza tra sé e sé, tra sé e gli altri, tra sé e il mondo. La scrittura autobiografica vi aggiunge qualcosa in più: offre agli uomini una tregua dalla frenesia della vita. Una tregua che non è stasi, ma cura di sé.
Nell’intimità della scrittura, nel silenzio che essa richiede, in quello spazio prezioso – la stanza tutta per sé – che descriveva Virginia Woolf, ogni più piccola parte di sé trova modo di essere accolta e ascoltata. In quest’azione di attenta predisposizione ad ascoltarsi, di ricerca di quanto appreso da sé stessi e di meta-riflessione si dà modo di rispondere in modo positivo al proprio tempo interiore.
Il tempo è una musica che risuona dentro di noi
Romanzieri
e poeti, ne hanno contezza, e parlano direttamente al cuore di chi
legge. La comunicazione avviene su un piano che va oltre i segni
grafici che compongono le parole: cerca corde da far vibrare
all’unisono. Si dà movimento a una musica che non si sente con le
orecchie ma si percepisce con la parte più profonda di sé.
Ernaux scrive la propria autobiografia in modo impersonale, quasi a prendere le distanze da sé stessa e da un male di vivere che riconosce come risposta ad un presente accelerato. In poco meno di trecento pagine ripercorre decenni di vita della società francese, intrecciandola con la propria. Un’analisi storico-sociologica capace di illuminare i cambiamenti sociali che tutti stiamo vivendo e come essi abbiano ricadute sull'esperienza individuale di ognuno, portando a forme di alienazione subdole e pervasive. Il romanzo di Ernaux mostra una società in perenne e rapida trasformazione e quanto ciò incida sul senso di appartenenza con le cose e nelle relazioni.
Tecnologia e perdita di sé
<<Nella
mescolanza dei concetti era sempre più difficile trovare una frase
per sé, la frase che, pronunciata in silenzio aiuta a vivere.
Su
internet bastava scrivere una parola chiave per essere travolti da
migliaia di <<siti>>, per attingere in disordine a pezzi
di frasi che ci trascinavano verso altri brandelli di testi in una
caccia al tesoro eccitata, piccole scoperte rilanciate all’infinito,
di ciò che non stavamo cercando.>>
(Ernaux 2015, p. 244)
Questo
stesso fenomeno accade con molte applicazioni e social. Si apre il
browser con un’idea e, presto, ci si perde
in un mondo che non si aveva preventivato né si stava cercando. Che
dire poi del potere infinito dell’intelligenza artificiale?
Accalappia
e porta a smarrirsi sempre di più, a perdere sé stessi e le proprie
capacità, cedendo a lei ogni forma di ragionamento. Offre scenari
talmente molteplici e variegati e interessanti, sicuramente utili per
l’apertura mentale, ma poi vuole della persona la cosa più
importante: il suo tempo e la sua capacità di riflessione autonoma.
Un po’ come la storia della Sirenetta (H. C. Andersen): le gambe in
cambio della voce. Ti snaturo e tu non sai più chi sei.
<<Sembrava
che si potesse fare propria la totalità della conoscenza, che si
potesse penetrare nella molteplicità di tutti i punti di vista
esposti nei blog [...]>>
(Ernaux
2015, p. 244)
La
presenza massiccia delle tecnologie nelle nostre vite e la
possibilità-obbligo di essere sempre connessi, unito alla velocità
di performance richiesta ad ognuno e ad ogni età ha fatto saltare
anche i ritmi di vita. Si “deve” sempre essere connessi e
disponibili anche oltre l’orario di lavoro. Non esiste più giorno
o notte, ferie, festività o malattia, tanto che sono nati movimenti
per pretendere qualcosa che dovrebbe essere del tutto naturale: il
proprio tempo libero. Libero dall’essere sempre al servizio di
altro o di altri. Si parla infatti di diritto a disconnettersi o di
limitazione al digital working time1.
Risonanza e infanzia
È
a questo livello che mi pare utile rivolgersi a Ende e alla sua Momo.
Si fa presto a dire: è un romanzo per ragazzi. Sicuramente la
protagonista è una bambina e sicuramente molti dei personaggi
secondari sono bambini. Ende
esprime spesso, nei suoi romanzi, un’attenzione e una fiducia
totale nei confronti dell’infanzia. L’unica a
saper vedere quanto lo sguardo ormai privo di luce degli adulti non
sa fare brillare. L’infanzia ha tempo da perdere, mentre gli adulti
il loro tempo lo hanno ceduto ad altri e a qualcos’altro che li
tiene prigionieri, benché
loro potrebbero benissimo sciogliersi dalle catene e
andarsene
liberi.
È interessante la posizione sul “tempo da perdere”, perché pone un quesito: il tempo perso è veramente tempo perduto? O non è per caso, il tempo impegnato ad essere tempo perduto?
L’hai fatto da solo?
<<In una casa ci stan tre fratelli
che a volte sono brutti e a volte belli.
Essi sono realmente
l’un dall’altro differente.
Ma se a distinguerli tu proverai
uguali identici li troverai.
Il primo non c’è perché sta giungendo.
Il secondo non c’è perché sta uscendo.
C’è solo il terzo, il minore dei tre,
ma non ci son gli altri se il terzo non c’è.
E questo terzo su cui mi diffondo
esiste solo perché nel secondo
il primo si trasforma, moribondo.
Se poi guardare tu lo vorrai
uno degli altri fratelli vedrai.
Dimmi, bambina, i tre sono uno?
O solo due? – oppure nessuno?[...]>> (2011, pagg 146-147)
L’autobiografia: un approccio pedagogico slow
Tutta
questa accelerazione ha ricadute significative sull'apprendimento,
sulla crescita dei bambini e sull'educazione in generale. Che
tipo di educazione stiamo realmente mettendo in opera come educatori
e come insegnanti?
C’è sicuramente bisogno di un approccio pedagogico “slow” e di un nuovo rapporto con il tempo, in modo da recuperare quegli spazi di riflessività e di scelta autonoma che sono alla base di una vita buona.
Facendo proprio un atteggiamento “slow”, e riponendo per un momento la fretta di imparare il funzionamento dell’ultima innovazione, potrebbe essere utile rivolgersi a una teoria che è anche metodologia e pratica. Per nulla innovativa perché ha radicato con pazienza e che, se soltanto la prendessimo in considerazione senza considerarla superata o troppo impegnativa, potrebbe validamente rappresentare una via per decelerare e, nel contempo, aiutare la costruzione di una vita buona.
Una teoria che è anche genere narrativo, ma che in questo momento ci interessa per la grande risorsa che rappresenta come metodo formativo e autoformativo: l’autobiografia.
A volte pare di trovarsi di fronte alla scoperta dell’acqua calda e a un diffuso rifiuto di volerlo riconoscere.
Nella rincorsa costante alle innovazione pedagogiche e didattiche, al dover fare scelte formative sulla base di fondi che vengono stanziati, e devono essere spesi in direzione di quelle innovazioni che presto saranno superate da altre in arrivo, ci si dimentica che vi sono metodologie che resistono all’accelerazione perché fanno proprie il valore della riflessività e della cura.
Ci si dovrà interrogare su quanto buone prassi e innovazione possano avere realmente in comune, e quanto, al contrario, una buona prassi sia qualcosa di consolidato e appreso con pratica costante e duratura. Cioè realmente assimilato e praticato.
Senza entrare anche in queste questioni, qui mi preme far presente che l’autobiografia è un campo di studi interdisciplinare che affonda le sue radici nella letteratura, nella storia, nella psicologia, nella sociologia e in altre discipline. Possiede una sua storia teorica, con concetti chiave, modelli interpretativi, dibattiti metodologici e figure di riferimento (come Philippe Lejeune, Duccio Demetrio, Cosimo Laneve, Michael Foucault, solo per citarne alcuni).
L’autobiografia nutre un interesse profondo per l’esperienza del soggetto, la ricerca di significato e la possibilità di trasformazione attraverso la relazione con sé stessi, con gli altri, con il mondo. È molto più di una pratica narrativa: insegna a sostare, ascoltarsi, trasformarsi. È volta alla cura di sé e del mondo che ci circonda, con particolare attenzione alle relazioni. Aiuta a creare risonanza e predispone ogni uomo, sia esso bambini o adulto, verso una vita buona.
In un tempo in costante accelerazione, la scrittura di sé rappresenta quell’azione lenta e resistente di cui abbiamo tutti bisogno, capace di riconnettere ciascuno al senso del proprio vivere e al valore del tempo.
Bibliografia
Cioran
E., 2001
La
caduta nel tempo, Mondolibri
s.p.a., Milano.
Demetrio
D., 2009
L’educazione
non è finita. Idee per difenderla, Raffaello
Cortina Editore, Milano.
Ende
M., 2011
Momo,
SEI, Torino.
Ernaux
A., 2015
Gli
anni, L’Orma Editore, Roma.
Fabris
C., 2020
Parole
sotto sale, AnimaMundi
edizioni, e-book.
Foer
J., 2007
Ogni
cosa è illuminata, Superpocket,
Milano.
Laneve
C., 2016
Scrivere
tra desiderio e sorpresa, editrice
La Scuola, Brescia
Mezirov
J., 2016
La
teoria dell’apprendimento trasformativo. Imparare a pensare come un
adulto, Raffaello Cortina
Editore, Milano
Rosa
H., 2015
Accelerazione
e alienazione: per una teoria critica del tempo nella tarda
modernità, Piccola Biblioteca Einaudi,
e-book.
Rosa
H., 2023
Risonanza
e vita buona. Educazione e capitalismo accelerato, Editrice
Morcelliana, Lavis.
Sant’Agostino,
1997
Le
confessioni, BUR, Milano.
Seneca,
2010
Lettere
a Lucilio, BUR, Bergamo.
Woolf
V., 2010
Una
stanza tutta per sé, Newton Compton, Roma.
Valeck
A, 2025
Bambini
autobiografi. Approcci innovativi per la scuola dell’infanzia e
primaria, Persiani, Bologna
Zambrano
M., 1996
1 La legge n° 81/2017 è il principale riferimento normativo per il diritto alla disconnessione in Italia, anche se non lo definisce come un diritto assoluto e lascia spazio alla contrattazione individuale.