giovedì 5 gennaio 2023

Racconti di Natale

Le Feste sono quasi terminate, ma noi continuiamo a ricevere racconti nati nel laboratorio di scrittura autobiografica "Aspettando le feste" che si è tenuto qui a Meldola lo scorso 3 dicembre 2022.
E' sempre una gioia aprire la mail e trovarvi nuovi doni. Questo è di Claudia Conti

Sono nata nel 1941.
Ho passato l’infanzia tra guerra e malattie che hanno fatto tanti morti, compresi i miei nonni paterni.
Ho ricordi paurosi degli allarmi per i bombardamenti aerei e di tante ma tante donne vestite di nero da capo a piedi per un tempo infinito. 
Ricordo anche il babbo avvolto nella sua “capparella” nera che usciva di notte per rientrare solo al mattino. Era un partigiano e la sua vita è stata sempre in pericolo.
La guerra è finalmente finita e la vita è ripresa come si è potuto. Ero piccolina e non ho ricordi di alcuna festa di Natale.
Nel 1949, quando avevo 8 anni, abbiamo lasciato Fratta Terme e ci siamo trasferiti a Forlì.

Poveri eravamo e poveri abbiamo iniziato una nuova vita.
Io sono stata messa nel collegio Buon Pastore per frequentare la terza elementare. Tornavo a casa la domenica e quindi ho passato a casa anche il Natale con tutta la mia famiglia. Tutte queste novità e trambusti sono rimasti impressi anche grazie alla coincidenza “Natale”. 
La casa era bella e quasi nuova, sempre in campagna, aveva anche un piccolo pollaio, la stia dei conigli, la capanna ed il pozzo. Però il gabinetto era all’esterno in comune per tutti. Il pozzo ancora faceva da frigorifero, la stufa era il riscaldamento. In famiglia erano cinque e cioè babbo, mamma, due fratelloni ed io. Nel 1951 è arrivata l’ultima sorellina e qui ci siamo fermati.

Il primo Natale che ricordo, è in questa nuova casa.

La vigilia, in cucina la stufa spandeva un gran caldo e, dopo cena, il babbo prima di andare al circolo per la partita, metteva il “prete” (lo scaldaletto) nei letti per renderli caldi e gradevoli. Io e mamma rimanevamo sole. Ricordo la mamma al tagliere con un bel grembiule con disegni romagnoli, il fazzoletto che copriva tutti i suoi capelli neri, che preparava e “cumpens” per i cappelletti. Sulla stufa c'era una bella pentolona dove bollivano le carni per il brodo e ricordo un profumo grandioso e appetitoso. Io dovevo stare attenta al primo bollore perché con una ramina dovevo togliere la schiuma dal brodo. La mamma tirava una sfoglia grandissima, la copriva con un telo ed appena asciutta ne faceva dei quadretti perfetti che riempiva e con una incredibile abilità li chiudeva a cappelletto.
Per me era una festa. Con le mie piccole mani ne facevo tanti anch’io ma ne mangiavo anche tanti crudi. Prima di finire tagliava dei quadretti più grandi e (per burla) invece del solito ripieno, riempiva i cappelletti con una mandorla con il guscio, che sarebbero capitati (vedi caso) nei piatti degli uomini.
Non avevamo il panettone ma la mamma finito i cappelletti preparava il ciambellone versando il tutto in un tegame tondo di alluminio con in mezzo una tazzona e via dentro il forno della stufa. 
Non c’era l’attesa di Babbo Natale, non c’era il presepe, non c’erano le lucine ma tutto questo era comunque il segnale di una festa in arrivo. A questo punto iniziavo a ciondolare per il sonno ma c’era un’altra cosa da fare. Nella cucina era entrata la “mastella” e la mamma mi faceva il bagno prima che rientrassero gli uomini. Tutti dovevano fare il bagno. La mamma mi asciuga energicamente, mi spolvera di un profumatissimo borotalco Roberts, mi mette i panni caldissimi appesi sulla stufa e via, di corsa a letto che trovavo caldissimo. Mi addormentavo subito in quelle lenzuola calde e fresche di bucato. 
Come dicevo, non c’erano addobbi natalizi né regali sotto l’albero (non c’era neanche l’albero) ma tutti questi profumi e sapori e l’attesa di un giorno di festa con tutta la famiglia ancora oggi mi fanno battere il cuore. 
Il mattino di Natale, la mamma mi svegliava presto per andare a messa con gli altri del vicolo. Indossavo gli abiti “buoni” magari (a volte) anche un fiocco nei capelli. Intanto che la mamma mi prepara, sento la voce del babbo, ancora a letto, che dice: ”mo’ an da vet, babina, l’è fred, mo’ stat in te let”. L’anticlericale nulla poteva su questo volere della mamma. 
A mezzogiorno si pranzava nella stanza cosiddetta da pranzo ove c’era il tavolo a tiro che ci consentiva di mangiare comodi. La mamma metteva la tovaglia bianca, da lei ricamata (il pezzo più bello del corredo), poi i piatti del servizio “buono” salvati dai bombardamenti perché inseriti dentro un baule seppellito nel campo vicino a casa. 
Grande festa ai cappelletti che la mamma mette nei piatti con il loro brodo stellato. Mangio, ma guardo curiosa la mamma che mi fa l’occhiolino ed aspetto che qualcuno trovi il “cappellettone” con la mandorla per farmi una bella risata per lo scherzo riuscito! Chissà se era proprio una sorpresa o solo un po’ di commedia per farmi divertire!!! 
Quel Natale è stato certamente piacevole, i miei fratelli si sono fermati a giocare con me (cosa rara perché andavano sempre a lavorare e non avevano mai tempo per i “snament”); il babbo ha governato bene la stufa tanto che la mamma aveva le guance rosse accaldate ed un bel viso sorridente (forse aiutata dall’albana usata per fare la “gagina” con il ciambellone). 
Con il tempo anche il mio Natale si è riempito di addobbi, luci e regali ma la gioia di quel Natale è un ricordo incancellabile.



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