di Loretta Buda
12
Novembre 2023
Nella quieta domestica di questa domenica novembrina, riprendo in mano il libro di Astrid Valeck. Una pubblicazione che, di luogo in luogo, si è inserita anche nella gradevole e accogliente cornice della biblioteca Ceccarelli di Gatteo.
Mercoledì sera entrando nella saletta vedo, tra i partecipanti abituali, una figura a me nota, ma sconosciuta agli altri; la signora è seduta in disparte segue con attenzione le parole di Astrid, ascolta la lettura della sua testimonianza senza battere ciglio e con espressione risoluta. Eva Marie Søndenaa è la protagonista della storia con la quale Astrid esordisce nella serata; un racconto che apre la serie di storie di vita che l’autrice presenta: narrazioni che hanno trovato compiutezza e senso nel libro: “Memorie di vita e di migrazione femminile”.
Ho sempre pensato, (non sono l’unica a farlo, al riguardo esiste una copiosa letteratura) che le storie creano legami, addomesticano rendendo il biografo e il testimone persone uniche.
Mi concedo una digressione con Saint-Exupèry ... unica... era anche la rosa del “piccolo principe” . Solo dopo aver incontrato la volpe il piccolo principe comprende perché la rosa per lui sia unica: «... lei che ho ascoltato lamentarsi, vantarsi, o persino ogni tanto stare zitta. Il piccolo principe le offre il tempo dell’ “ascolto e della cura”.
Anche fra il biografo e il testimone c’è il dono di un tempo dedicato alla parola e all’ascolto.
Sono parole di “carne e di sangue” perché attraverso la risolutezza delle persone di esporsi, di ricordare una sofferenza patita, di descrivere una gioia esultata o semplicemente di rammentare scampoli di una quotidianità, le parole attribuiscono valore alla storia e alla vita di chi ricorda.
Ogni vita merita un romanzo, scrive Erving Polster, infatti ogni esistenza, nel dispiegarsi dei ricordi, ritrova giustificazione al suo bisogno di stare “al mondo” con semplicità e unicità.
Stralcio una frase nella testimonianza di Eva che conferma quanto ho tentato di spiegare in queste poche righe.
“Dicono che ho un carattere difficile. Che è complicato parlare con me.
È che mi piace pensare con la mia testa. Non voglio imposizioni sterili.
Nella quieta domestica di questa domenica novembrina, riprendo in mano il libro di Astrid Valeck. Una pubblicazione che, di luogo in luogo, si è inserita anche nella gradevole e accogliente cornice della biblioteca Ceccarelli di Gatteo.
Mercoledì sera entrando nella saletta vedo, tra i partecipanti abituali, una figura a me nota, ma sconosciuta agli altri; la signora è seduta in disparte segue con attenzione le parole di Astrid, ascolta la lettura della sua testimonianza senza battere ciglio e con espressione risoluta. Eva Marie Søndenaa è la protagonista della storia con la quale Astrid esordisce nella serata; un racconto che apre la serie di storie di vita che l’autrice presenta: narrazioni che hanno trovato compiutezza e senso nel libro: “Memorie di vita e di migrazione femminile”.
Ho sempre pensato, (non sono l’unica a farlo, al riguardo esiste una copiosa letteratura) che le storie creano legami, addomesticano rendendo il biografo e il testimone persone uniche.
Mi concedo una digressione con Saint-Exupèry ... unica... era anche la rosa del “piccolo principe” . Solo dopo aver incontrato la volpe il piccolo principe comprende perché la rosa per lui sia unica: «... lei che ho ascoltato lamentarsi, vantarsi, o persino ogni tanto stare zitta. Il piccolo principe le offre il tempo dell’ “ascolto e della cura”.
Anche fra il biografo e il testimone c’è il dono di un tempo dedicato alla parola e all’ascolto.
Sono parole di “carne e di sangue” perché attraverso la risolutezza delle persone di esporsi, di ricordare una sofferenza patita, di descrivere una gioia esultata o semplicemente di rammentare scampoli di una quotidianità, le parole attribuiscono valore alla storia e alla vita di chi ricorda.
Ogni vita merita un romanzo, scrive Erving Polster, infatti ogni esistenza, nel dispiegarsi dei ricordi, ritrova giustificazione al suo bisogno di stare “al mondo” con semplicità e unicità.
Stralcio una frase nella testimonianza di Eva che conferma quanto ho tentato di spiegare in queste poche righe.
“Dicono che ho un carattere difficile. Che è complicato parlare con me.
È che mi piace pensare con la mia testa. Non voglio imposizioni sterili.
Ho
una mia originalità e tante passioni. Sono sempre impegnata.
La
maggior parte della mia vita l’ho passata qui a Meldola. Nel tempo
sono riuscita a conciliare gli opposti e a sentirmi a casa. Qui ho i
miei figli e le loro famiglie, il mio cane e i miei gatti, i miei
fiori, i miei uccelli, i miei amici che vengono da lontano e da
vicino, i miei francobolli.
La
mia vita è mia. È piena e mi piace viverla.”
L’espressione:
“ho una mia
originalità”,
conferma, a chiare lettere, quello che ogni testimone percepisce
quando riascolta o rilegge la propria storia; ognuno poi troverà la
forma espressiva che gli sarà più congeniale.
C’è
anche chi, come Maria ad Fiòur, una testimone, de “Il paese
ritrovato”, che semplicemente disse: “Sono stata bene, mi è
piaciuto ricordare.”
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