Ogni
anno il 27 gennaio ci riconduce
alla grande ferita che tormenta la nostra memoria collettiva;
una
memoria che pesa e ci accompagna. Tante
sono le iniziative e i percorsi didattici proposti agli alunni e ai
cittadini, ma quest'oggi vorrei soffermarmi sulla scelta del Comune
di Forlì di intitolare -diversi anni fa- uno dei suoi Istituti
Comprensivi1
ad
una giovanissima donna uccisa ad Auschwitz: Camelia Matatia. Se ci
pensiamo bene è una scelta importante, significa dare profondo
valore alla capacità di orientare gli alunni a fare memoria. Negli
anni, all'interno
dell'Istituto Comprensivo,
si è creata una stretta sinergia con Roberto Matatia, nipote di
Camelia; è lui ad aver raccolto il testimone e, oltre ad aver
scritto due volumi2
dedicati alla storia della sua famiglia, è presenza infaticabile
all'interno delle scuole e non solo. Quella
della testimonianza è una tessitura che chiede tanta resistenza e
resilienza. Nel
caso di
Roberto Matatia lo è ancor di più perché lui non è un testimone
diretto, non ha vissuto in prima persona la deportazione ma, forse,
proprio per questo, ha sentito in modo molto forte l'imperativo
morale di dare voce a chi non c'è più e nulla avrebbe potuto
narrare di sé.
È
interessante comprendere
come Roberto Matatia sia
divenuto testimone a
sua volta, lui che degli aventi occorsi a parte della sua famiglia
nulla aveva saputo per larga parte della sua vita. Ricorda
la Lowenthal3
che anche il silenzio ha una sua memoria, fatta di gesti e di azioni
trasmesse attraverso l'educazione. Il
silenzio è una ferita che resta aperta, che non trova il modo di
essere sanata. Nella trama della vita e della memoria individuale e
collettiva è come se vi fosse una lacerazione e i lembi del tessuto
non possono essere riuniti e ricuciti, manca proprio un pezzetto di
tessuto. L'ordito va intrecciato nuovamente e questo è possibile
attraverso le storie. La
memoria vissuta diviene così memoria condivisibile.
A
volte, la memoria intesa come “appartenenza” arriva come uno
schiaffone, improvvisa, inaspettata. È come se ti scegliesse e
dicesse che tocca a te. Sollecita corde profonde che non attendevano
altro che di poter vibrare. Così si raccoglie il testimone e si
prosegue in questa infaticabile azione di rievocazione per aiutare a
costruire, in chi è nato dopo, quanto è da conoscere, per poter
riflettere e interrogarsi, e individuare pericolose trame nel proprio
presente prestando attenzione, affinché non si commettano gli stessi
errori.
Per
Roberto Matatia tutto è divenuto definitivamente chiaro attraverso
delle lettere scritte da Camelia ed arrivate a lui per una via
altrettanto singolare. Emerge prepotente il valore della scrittura,
capace di travalicare il tempo e rendere presente ciò che non c'è
più e chi non c'è più. Scrivere non è solo lasciare traccia,
affermare che si è esistiti e si è stati, ma è anche custodire
quelle tracce e dare loro nuova linfa. Raccogliere il testimone,
allora, è sì testimoniare con le parole in eventi o incontri
pubblici, ma è anche scrivere. Dare forma alla Storia attraverso la
narrazione di storie comuni, facendo in modo che queste storie
possano incontrare altre sensibilità (i lettori) e creare occasioni
di riflessioni.
Alcuni
anni
fa l'associazione
Paesaggi
Educativi
fece una ricerca4
tutt'ora attuale. Un
invito a tutti, adulti e bambini, a prestare attenzione a quanto
accade intorno a noi nel presente, ma anche
a
proiettarsi nel futuro, a
formarsi per divenire custodi e testimoni a propria volta. Vorrei
aggiungere un invito in più. L'attenzione e la cura per la memoria
non si esauriscono
in
una giornata di commemorazione.
Educare ed educarsi alla pace, al vivere insieme richiede tempo e
impegno quotidiano, passa attraverso le azioni e i gesti di ogni
giorno, anche i più piccoli.
1 Istituto Comprensivo n°8 Camelia Matatia di Forlì
2 I vicini scomodi. Storia di un ebreo di provincia, 2014 e Passerà, 2021
3 Lo strappo nell'anima, 2002
4 A cura di R. Taiola, Scuola: ripartire da Auschwitz, 2010
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