“Fare autobiografia” significa coltivare l'orto che siamo, il campo che ci abita. Un terreno tutto nostro che contiene la terra che ci ha visto camminare, giocare, scappare, stare fermi, saltare, amare.
In questa “stanza tutta per sé” nasce la possibilità del “darsi voce”, dare voce alla propria storia, che diventa insieme storia di una famiglia, di un contesto sociale, di un tempo.
Ludovica Danieli
docente Libera Università dell'Autobiografia di Anghiari.
A tutti gli amanti dei nostri laboratori di scrittura
autobiografica, eccoci con la prima delle nostre proposte estive.
Il luogo che ci accoglierà sarà un’aia…quindi saremo
all’aperto in piena conformità con le norme anticovid.
L’aia in questa occasione non si offrirà solo come luogo
accogliente ma anche come spazio di tradizioni e memorie.
L’aia, da sempre scenario di vita e contenitore di luce, oggi,
sconvolta nella sua rigorosa struttura e disorientata nelle sue funzioni
ostenta un silenzio risentito.
Un tempo era l’estensione dello scenario del lavoro dei
contadini; utilizzata per trebbiare il grano e gli altri prodotti del podere,
era anche il luogo dove svolazzavano polli e galline, ancheggiavano oche e
gloglottavano tacchini infastiditi dai giochi dei bambini.
Delimitata da siepi ordinate e alberature dalle chiome
contenute, l’aia era sempre rastrellata e ai margini vantava pagliai
impeccabili nelle loro scrupolose geometrie. Nella vita familiare dei contadini
in estate svolgeva la stessa funzione che aveva la stalla d’inverno, infatti
sull'aia, le famiglie si riunivano per chiacchierare, improvvisare balli e
feste campestri.
Scrivendo, daremo voce alla nostra necessità espressiva e
animeremo un luogo che passerà, da un silenzio offeso a un silenzio conciliato.
(L.B.)
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