“Se
la scrittura sta nella vita dell’Autore, non è meno vero che la
vita dell’Autore sta nella scrittura”
Qualche
tempo fa siamo tornati ad Arco di Trento, a far visita a Beatrice
Carmellini. È a lei e al suo infaticabile impegno che dobbiamo
l'idea e la guida nella nascita, a Meldola, della nostra Mnemoteca.
Di fronte alle nostre domande non si è mai risparmiata, e negli anni
c'è sempre stato un proficuo scambio.
L'ultima
volta che ci siamo visti abbiamo portato con noi le nostre ricerche
biografiche e i nostri progetti, e lei ha condiviso con noi i recenti
percorsi, gli incontri e le pubblicazioni della Mnemoteca del Basso
Sarca.
Tra
queste il Diario del
signor Giuseppe Piva,
piccola opera d'arte di parole e immagini.
Dal
libro che la Mnemoteca del Basso Sarca ha stampato divulgando così
il diario del signor Piva abbiamo estrapolato alcune pagine scritte
da Beatrice Carmellini che potete vedere nella foto.
Beatrice Carmellini
Più
di vent’anni fa una giovane donna, rovistando nella soffitta di
casa, trova un baule e, fra le molte cianfrusaglie, vede un quaderno
foderato con quella che una volta si chiamava ‘carta da zucchero’.
Lo sfoglia curiosa e ne rimane affascinata: è tutto disegnato! Ogni
pagina ha strisce con immagini che racchiudono una scrittura
giornaliera, numerata e ordinata.
Lo
tiene per sé come un libro dei sogni, sogni di un altrove mitico di
colori e immagini stravaganti. Solo molto più tardi riesce a
staccarsene per donarlo alla Mnemoteca del Basso Sarca pensando che
andrebbe condiviso come prezioso documento di testimonianza storica.
Per questo ringraziamo Gabriella Boccagni perché davvero prezioso e
unico sotto molti aspetti è il diario del signor Giuseppe Piva nel
quale annota giorno per giorno i suoi primi quattro anni di emigrato
in Uruguay, dal 12 ottobre 1930 al 31 dicembre 1934.
In
questo diario, che rimbalza a noi da oltre oceano dopo oltre
ottant’anni, c’è la tessitura di una fitta trama d’inchiostro
che annulla distanze temporali e spaziali offrendoci la possibilità
di osservare l’evento migrazione in presa diretta, dal
caleidoscopico punto di vista del suo protagonista. Si tratta
indubbiamente di una visione parziale e soggettiva, sottoposta ai
condizionamenti del quotidiano e dello spaesamento, nel vissuto di
stagioni al rovescio rispetto a quanto si è lasciato al paese
d’origine.
Ma
vediamo per prima cosa chi è Giuseppe Piva, l’autore di questa
memoria7. Giuseppe
nasce nel 1905 a Molina di Ledro, la sua famiglia, con soprannome
Pivèc, originaria di Legòs, era numerosa: ben nove figli dei
quali due morti in tenera età e uno, Massimo, che troveremo sovente
nelle pagine del diario perché già emigrato tre anni prima di
Giuseppe. Sappiamo inoltre che la famiglia (esperienza comune dei
ledrensi) fu profuga in Boemia nel 1915 come mostra una fotografia
nella quale Giuseppe aveva dieci anni. Stranamente nel diario
l’autore non cita mai codesta esperienza, mentre invece declina i
suoi dati anagrafici fin dalla prima pagina del quaderno: Giuseppe
Piva, fu Angelo, e Scavia Margherita, nato il 13 febbraio 1905 in
Molina di Ledro - Trentino, di professione sarto. Quando parte ha
dunque venticinque anni e fa il sarto. Dalla foto nella quale è
ritratto accanto al fratello Massimo possiamo vedere che Giuseppe non
ha il fisico del fratello, pur nella fierezza del portamento. Che lui
senta di compiere qualcosa di importante ce lo rivela già
l’impostazione del diario e le mosse di apertura. Intanto lo
immaginiamo mentre acquista il quaderno e non uno qualsiasi. È un
quaderno che già dalla stampa della sua copertina racconta
qualcosa: “Cuaderno de Escritura”con la grande scritta
“Liberadores” e la data dello sbarco dei Trentatré Orientali
nella Spiaggia dell’Agraciada, effettuato il 19 aprile del 18258.
E questo è un racconto che riguarda il luogo dell’emigrazione,
l’Uruguay. L’altro racconto riguarda il “pertinente”, ossia
chi scriverà sul quaderno, nel nostro caso Giuseppe Piva (sarto)
che vi scriverà “Riccordi del’Esilio” in quel di “Riachuelo
P.p. Colonia R.O.U.”.
La
pagina seguente si presenta già come un vero e proprio frontespizio
con il disegno del piroscafo Campana e l’intento dello scrivente:
“L’autore sottopone al giudizio di voi lettori quanto scritto nel
presente libro...”. Desidera dunque che “il segno umile” del
suo ‘esiglio’9
sia conosciuto. Sembra inoltre che l’intenzione fosse quella di una
continuità nell’opera e che potrebbero esserci stati altri
quaderni dal momento che dichiara essere questo
il primo volume del quale è “iniziata l’edizione la prima
domenica che mi trovavo in terra Uruguaia, 12 ottobre 193010”.
Da questa prima pagina inizia la straordinaria avventura, non solo
sua, ma anche di chi legge e si trova a vivere fra immagini e parole,
fra ricordi e quotidianità, fra nostalgia e desiderio di futuro
nell’affresco di un cambiamento e nel faticoso percorso di quella
che sta diventando una identità bilocalizzata attraverso gli sforzi
per trovare la capacità di vivere con dignità nella difficile
condizione di emigrato in terra straniera.
Nel
diario di quest’uomo, ora disperato, ora beffardo, nella sua
scrittura precisa con penna e inchiostro - leggermente inclinata a
destra- sia in prosa che in rima, come pure attraverso i magnifici
disegni, ci troviamo di fronte a molti piani di lettura. Pur leggendo
il diario nella sua scansione giornaliera sul piano puramente
narrativo autobiografico, vediamo che poi, come una scatola cinese,
ne possiamo trarre informazioni di tipo storico, antropologico,
sociale, naturalistico, ambientale. Il tutto dentro una scrittura
che, dal punto di vista formale, ha caratteristiche sue peculiari se
pensiamo a quella che era l’alfabetizzazione negli anni venti e
trenta del secolo scorso. Ci sono infatti citazioni in latino,
riferimenti letterari, rime... Naturalmente la parte forse più
attraente nell’immediato sono i disegni, la loro pertinenza con la
narrazione e la realtà, oltre al fascino dei colori e dell’insieme.
Se
la scrittura sta nella vita dell’Autore, non è meno vero che la
vita dell’Autore sta nella scrittura. È sintomatico il caso di
questo diario spesso assunto come luogo in cui la realtà della vita
può essere colta e dove la scrittura trova la propria motivazione,
giustificazione e fondamento. Il diario dice proprio della persona
reale così come è quando scrive, quando vive la vita quotidiana,
quando è ‘vivo e vero’ perché, come dice lui stesso:
“Giuseppe Piva scrive la vita11”.
7
Vedi: Testimonianze,
notizie, ed immagini del XX secolo delle comunità di Barcesino,
Legòs e Molina di Ledro (pagina 305, Tav.82) a cura di Michele
Toccoli pubblicato dal Comune di Molina di Ledro nel febbraio 2008.
8
I Trentatré Orientali
(Treinta y tres Orientales) è riferito ad un gruppo di uomini
comandati da Juan Antonio Lavalleja, che aveva condotto una
spedizione dall’Argentina, per liberare il territorio dell’Uruguay
nel 1825, precedentemente conquistato dal Brasile sotto il nome di
“Provincia Cispalatina”.
9
Giuseppe Piva scriverà
quasi sempre esiglio e non esilio, si avverte pertanto che le
citazioni saranno trascritte correttamente errori ortografici
compresi.
10
Nella prima pagina.
11
(p.55a: 18 giugno 1933. Ci
sono due numerazioni di 55, anche la seguente reca lo stesso numero)
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