sabato 6 agosto 2016

IL GIARDINO DELLE PAROLE Natalia

NONNA ISOLINA

 di Natalia Fagioli


Sono stata una bambina fortunata: ho avuto più nonne dei miei coetanei e un numero imprecisato di prozie, che per me erano tutte nonne: la bisnonna Filomena, la nonna Rosina, la nonna Olimpia, la nonna Isolina, la zia vecchia, la prozia Marcella, la Rosa (un’altra Rosa), la Mora, la zia di Forlì, e ce n’erano altre , presenze ormai lontane, vaghi ricordi, solo i soprannomi (la Nasona), o certi modi di fare(la Mozzì-mozzì).
Questo perché vengo da una famiglia numerosa e perché il nonno paterno si è sposato due volte. Nonna Olimpia non è la mia vera nonna, era la matrigna di mio babbo, sposata da nonno Antonio in seconde nozze. La vera madre del babbo si chiamava Isolina e morì di Spagnola nel gennaio ’19, a una trentina d’ anni di età, lasciando il nonno vedovo con tre figli, di cui mio padre era il più piccolo. Non aveva ancora quattro anni.
Tranne Isolina, che si può dire neppure mio padre abbia conosciuto, le altre le ho conosciute tutte. A tutte sono legata, debitrice di qualcosa, a molte ho voluto molto bene, indipendentemente dagli stretti legami di sangue, come alla nonna Olimpia, perché con loro ho diviso infanzia e prima adolescenza.
Tuttavia è in me vivissima anche la nonna Isolina e questo perché il babbo me l’ha sempre ricordata tenendone viva la memoria. Di lei possediamo ancora la treccia di capelli neri che le fu tagliata prima di metterla nella bara. L’ho ritrovata in un cassetto del comò, avvolta in una pagina di giornale,dopo che entrambi i miei genitori erano morti. Quando ero piccola il babbo me la faceva vedere spesso, dopo l’ha fatta vedere ai nipoti…
Di lei possediamo anche una piccola foto sbiadita, da ragazza, pettinata all’impero, conservata entro un ciondolo di metallo, come quelli che, bambina, vedevo ancora al collo di alcune vedove di guerra.
Di quella foto sono state fatte varie copie. L’immagine è un po’ incerta, in mancanza del negativo, ma conserviamo tutto come se fosse una reliquia. Il ciondolo con la foto di Isolina il babbo, prima di morire, lo regalò a mia figlia che lo conserva gelosamente insieme ad una lettera (altra reliquia) indirizzata al fronte al marito Antonio. E’ una lettera un po’ sgrammaticata, dove la nonna ripete, tentando forse di riformularli più chiaramente, progetti, amarezze, raccomandazioni.
Ricorda la richiesta inevasa presentata dalla famiglia per fare ottenere ad Antonio la licenza agricola, ribadisce che stavolta non si affiderà più al Fattore, ma se la sbrigherà da sola in un nuovo tentativo di fargliela ottenere. Consiglia al marito di non seguire l’esempio dei commilitoni, ma di dire quotidianamente le preghiere per raccomandare a Dio la sua sorte.
E c’è ancora in casa un’altra foto (quarta e purtroppo ultima reliquia) di Lei con le due figlie serie serie ai lati, e il mio babbo, di due anni al massimo, in braccio. E’ la foto che si era fatta fare dal fotografo per mandarla al marito al fronte. In casa si tramandava che lei si fosse sempre rammaricata di apparirvi spettinata. Il piccolo Giovanni, mio padre, ritratto infatti spaventato e urlante, le aveva scompigliato tutti i capelli, annullando la fatica della pettinatrice a cui la nonna si era rivolta prima di mettersi in posa davanti al fotografo.
Resta da raccontare la parte mitica, finora affidata alla tradizione orale. Ma sì! Facciamola diventare scritta in questo preciso momento e  condividiamola!
 La nonna “Isòla”, contro il parere del padre, il fattore Danesi, aveva sposato Antonio Fagioli, mio nonno, un semplice contadino. Per “coronare questo sogno d’amore”, Tugnìn(Antonio) aveva dovuto “rubare” la futura moglie, cioè rapirla e ciò nonostante il fattore Danesi avesse a sua volta “rubato” la propria moglie e nella fuga avesse addirittura superato sette mitici fiumi della campagna romagnola, prima di portarla all’altare. Poi si era evidentemente dimenticato delle passioni e dei sentimenti della gioventù, recitando la parte del padre-padrone.
Nella foto in bianco e nero dell’album di famiglia (c’è dunque sempre una foto nella nostra preistoria), questo vecchio rude e spigoloso, dal volto segnato da rughe profonde e dai grossi capelli bianchi lunghi fino alle spalle, che adesso mi sembra uno splendido vecchio, un campione della salute, da piccola mi ha sempre attratto sì, ma al tempo stesso respinto, perché mi spaventava.   (…)

 RIDUZIONE da “Nonna mia” a cura di Stefanie  Risse, edizioni EQUINOZI.  

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