domenica 14 aprile 2019

Le pulizie di Pasqua .




Le pulizie di Pasqua




Il gatto alita sui vetri con un miagolio afono, mentre apro la finestra il mio sguardo cade sulle tende che scendono flosce con una mestizia tutta quaresimale. Non le ho cambiate, non ho lucidato i vetri, ovviamente non ho lavato gli infissi, non ho svuotato i mobili e di conseguenza non ho cambiato la carta sui ripiani: in definitiva non ho fatto le pulizie di Pasqua e oggi è la Domenica delle Palme.  Con il senso di colpa che mi martella i pensieri  penso alla rapida pulizia effettuata, nei primi giorni di marzo e alla successiva visita del parroco per la  benedizione pasquale: un rituale che sta  svilendo  in un contesto «benedetto» da altri riti e da altre storie. 
Casualmente nelle pagine de “ I puri di cuore”  di Marino Moretti leggo la descrizione dell’atmosfera che si creava in una casa di Romagna durante le pulizie di Pasqua e,  riconoscendovi molti aspetti  riconducibili alla mia infanzia,  la  propongo con piacere.



















Che ne dici , tu, Papetta? Vogliamo aspettare a mutare al palma? Vogliamo aspettare di aver fatto le pulizie?
Va bene, — rispose gravemente la Papetta. — Aspettiamo le pulizie. —
E si comincio il  dì dopo a buttare all'aria la casa per queste famose pulizie di pasqua. Le donne ci si accanivano, e la Rossola era allegrissima perché le piacevan certe faticate e il grande scompiglio. Si toglievano le tende alle finestre, si staccavano i quadri, sacri e profani, si scostavano i mobili, si ammucchiavano gli arnesi di cucina, si scardinavano porte e finestre, si portavano seggiole e tavole nei cortili e fin nella strada, si liberava la casa delle vecchie cianfrusaglie, delle cose inservibili: cenci, stoppacci, tegami rotti, scope consunte, lettere antiche, libri spaginati. La Papetta diceva che c'era tanta confusione come quando Gesù entro nel tempio e rovesciò le tavole dei cambiavalute e le sedie dei venditori di colombi. Poi, quando la casa era nuda, si lavava, strofinava, smacchiava, sbatacchiava, si adoperavano stracci intinti in un'orrenda miscela, si esploravano i soffitti con una lunga canna a cui era legato, in cima, un granatino. Certe cose non si pulivano che una volta l'anno, ed erano quelle a cui le donne si avvicinavano chiudende il naso e la bocca.
Le donne in quei giorni mangiavano un pezzo di pane e una fetta di salame in piedi, girando per casa e guardando la roba ammonticchiata che doveva ritornare al suo posto prima di sera o il giorno dopo o l'altro giorno. Faceva un effetto triste la casa tirata giù; ma la roba era molta e non pareva d'averne tanta. C'era in tutti, uomini e donne, un improvviso esagerato amore della pulizia, e dei mobili lisci, degli ottoni lustri, del puzzo d'aceto e di petrolio, e un sacro orrore della polvere e del sudiciume che pur s'erano tanto volentieri lasciati accumular dappertutto.
  Le donne bevevano parecchi bicchieri di vino perché credevano che il vino rinforzasse quando si faticava. A sera qualche arzdora era ubriaca; e allora avveniva che il marito mettesse a letto la moglie mentre, di solito, era la moglie che metteva, brontolando, a letto il marito.
La Rossola diveniva sempre più allegra nel polverone, fra le mosche secche e le ragnatele pulverulente, e così, coi capelli spettinati e il viso contratto, pareva anche più lentigginosa e più fulva. Giacché resisteva alla fatica e aveva forza e iniziativa, si credeva in diritto di ridere e di parlare pin sfacciatamente degli altri giorni; e rispondeva con una risata o una scrollata di spalle alla madre o alla padrona che l'ammonivano; né, d'altronde, le ammonizioni, in tempo di pulizie, erano fatte sul serio. Ella sapeva troppo bene di essere davvero utile. Non voleva che la madre l'aiutasse; voleva la responsabilità assoluta del suo lavoro, in cucina o in cortile, per le scale o nel ricovero; accettava solo il piccolo aiuto di Luca, al quale s'affezionava un poco per l'occasione. Le piaceva di comandarlo, di ridere con lui, di vederlo allegro, anche lui, nel polverone, fors'anche di scuoterlo, con una canna in mano, dalla sua sonnolenza.
C'era da farne un uomo come tutti gli altri di quel bambino di quarant'anni: su! svelto! forza! coraggio! un ultimo sforzo! piano, adagio, cosi!; oppure lo guardava in un certo modo, negli occhi, cantando il ritornello d'una canzonetta recente:
e cich e cich e ciach,
me la tu' sbera, e to e mi' vigliach! 

Marino Moretti ,  I puri di cuore , EDIZIONI SCOLASTICHE MONDADORI, 1951   




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