Le pulizie di Pasqua
Il gatto alita sui vetri con un miagolio afono, mentre
apro la finestra il mio sguardo cade sulle tende che scendono flosce con una
mestizia tutta quaresimale. Non le ho cambiate, non ho lucidato i vetri,
ovviamente non ho lavato gli infissi, non ho svuotato i mobili e di conseguenza
non ho cambiato la carta sui ripiani: in definitiva non ho fatto le pulizie di Pasqua
e oggi è la Domenica delle Palme. Con il
senso di colpa che mi martella i pensieri
penso alla rapida pulizia effettuata, nei primi giorni di marzo e alla successiva
visita del parroco per la benedizione
pasquale: un rituale
che sta svilendo in un contesto «benedetto» da altri riti e da
altre storie.
Casualmente nelle pagine de “ I puri di cuore” di Marino
Moretti leggo la descrizione dell’atmosfera che si creava in una casa di
Romagna durante le pulizie di Pasqua e, riconoscendovi molti aspetti riconducibili alla mia infanzia, la propongo con piacere.
Le pulizie di Pasqua
Che
ne dici , tu, Papetta? Vogliamo aspettare a mutare al palma? Vogliamo aspettare
di aver fatto le pulizie?
— Va
bene, — rispose gravemente la Papetta. — Aspettiamo le pulizie. —
E si comincio il dì dopo a buttare all'aria la casa per queste
famose pulizie di pasqua. Le donne ci si accanivano, e la Rossola era
allegrissima perché le piacevan certe faticate e il grande scompiglio. Si
toglievano le tende alle finestre, si staccavano i quadri, sacri e profani, si
scostavano i mobili, si ammucchiavano gli arnesi di cucina, si scardinavano
porte e finestre, si portavano seggiole e tavole nei cortili e fin nella
strada, si liberava la casa delle vecchie cianfrusaglie, delle cose
inservibili: cenci, stoppacci, tegami rotti, scope consunte,
lettere antiche, libri spaginati. La Papetta diceva che c'era tanta confusione
come quando Gesù entro nel tempio e rovesciò le tavole dei cambiavalute e le
sedie dei venditori di colombi. Poi, quando la casa era nuda, si lavava,
strofinava, smacchiava, sbatacchiava, si adoperavano stracci intinti in
un'orrenda miscela, si esploravano i soffitti con una lunga canna a cui era
legato, in cima, un granatino. Certe cose non si pulivano che una volta l'anno,
ed erano quelle a cui le donne si avvicinavano chiudende il naso e la bocca.
Le
donne in quei giorni mangiavano un pezzo di pane e una fetta di salame in
piedi, girando per casa e guardando la roba ammonticchiata che doveva ritornare
al suo posto prima di sera o il giorno dopo o l'altro giorno. Faceva un
effetto triste la casa tirata
giù; ma la roba era molta e non pareva d'averne tanta. C'era
in tutti, uomini e donne, un improvviso esagerato amore della pulizia, e dei
mobili lisci, degli ottoni lustri, del puzzo d'aceto e di petrolio, e un sacro
orrore della polvere e del sudiciume che pur s'erano tanto
volentieri lasciati accumular dappertutto.
Le donne bevevano parecchi
bicchieri di vino perché credevano che il vino rinforzasse quando si faticava.
A sera qualche arzdora era
ubriaca; e allora avveniva che il marito mettesse a letto la moglie mentre, di
solito, era la moglie che metteva, brontolando, a letto il marito.
La
Rossola diveniva sempre più allegra nel polverone, fra le mosche secche e le
ragnatele pulverulente, e così, coi capelli spettinati e il viso contratto,
pareva anche più lentigginosa
e più fulva. Giacché resisteva alla fatica e aveva forza e
iniziativa, si credeva in diritto di ridere e di parlare pin sfacciatamente degli
altri giorni; e rispondeva con una risata o una scrollata di spalle alla madre
o alla padrona che l'ammonivano; né, d'altronde, le ammonizioni, in tempo di pulizie,
erano fatte sul serio. Ella sapeva troppo bene di essere
davvero utile. Non voleva che la madre l'aiutasse; voleva la responsabilità
assoluta del suo lavoro, in cucina o in cortile, per le scale o nel ricovero;
accettava solo il piccolo aiuto di Luca, al quale s'affezionava un poco
per l'occasione. Le piaceva di comandarlo, di ridere con lui,
di vederlo allegro, anche lui, nel polverone, fors'anche di scuoterlo, con una
canna in mano, dalla sua sonnolenza.
C'era
da farne un uomo come tutti gli altri di quel bambino di
quarant'anni: su! svelto! forza! coraggio! un ultimo sforzo! piano, adagio,
cosi!; oppure lo guardava in un certo modo, negli occhi, cantando il ritornello
d'una canzonetta recente:
e cich e cich e ciach,
me la tu' sbera, e to e mi' vigliach!
Marino Moretti , I puri di cuore , EDIZIONI SCOLASTICHE MONDADORI, 1951
https://www.poesie.reportonline.it/poesie-di-pasqua/poesia-di-pasqua-di-marino-moretti-la-domenica-delle-palme.html
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