martedì 20 giugno 2017

Con cura e premura alla ricerca del Genius Loci. Loretta Buda

Con cura e premura
alla ricerca del Genius Loci 

Guardate, camminate.
 Prendete un angolo del vostro paese
 e fatelo sacro.
Andate a fargli visita
prima di partire e quando tornate.[1]

<< Si conosce meglio una strada, un vicolo, una piazza se ci si ferma o la si ripercorre alimentando un pathos generato da un incontro(...)>> affermano Ermes e Astrid nell’ introduzione all’ antologia dei testi elaborati dagli iscritti al seminario: L’anima dei luoghi, i luoghi dell’anima …alla ricerca del genius Loci.
Parlando di luoghi, vicoli, percorrenze il pensiero va alla geografia la cui prerogativa è, appunto, l’osservazione dei luoghi; ma sappiamo che per l’indirizzo umanistico il luogo, benché descritto anche da dati concreti, oggettivi, è innanzitutto una realtà soggettiva animata dai significati e dalle suggestioni che ogni soggetto gli attribuisce. A questo proposito riporto il dialogo fra Marco Polo e Kublai Khan . “Inutilmente, magnanimo Kublai, tenterò di descriverti la città di Zaira (...). Potrei dirti di quanti gradini sono le vie fatte a scale, di che sesto gli archi dei porticati, di quali lamine di zinco sono ricoperti i tetti (...) Non di questo è fatta la città, ma di relazioni tra le misure del suo spazio e gli avvenimenti del suo passato[2]. È proprio nel rapporto fra il luogo, e il vissuto di ognuno che assume importanza il genius loci, il protettore del luogo che potremmo genericamente intendere come l’intimità del luogo; personalmente preferisco adottare l’espressione di Bachelard e parlare di “ spazio dell’immensità intima”, luogo dove l’esperienza di ognuno  trova la sua dimora, il guscio entro cui riparare e ritrovarsi.
Tornando all’ esperienza di scrittura, alla quale mi sono approssimata con la delicatezza necessaria per avvicinare “i mondi” che la scrittura svela, noto che il paesaggio, è diventato pre-testo di scrittura e scenario di storia autobiografica. Intrecciando segni e reliquie territoriali[3] , i partecipanti sono riusciti a far emergere e rivivere la dimensione nascosta dei paesaggi percorsi.
Un tuffo nei ricordi del passato conoscendo le persone che il
passato l'hanno fatto e vissuto:
la loro infanzia, quando andavano a scuola, le loro avventure.
Il passato diventa presente
Sono arrivati a caratterizzare spazi consueti, a declinare l’ovvio con l’inedito muovendosi in un andirivieni fra immaginazione e ricordo. Hanno esplorato, con le loro rêverie, sia lo spazio aperto dei grandi orizzonti, quanto quello delimitato della casa e del borgo.
Il cielo è aggrovigliato ?
Dipaniamolo un po’.
E facciamo una sciarpa
Di nuvole filate.
(...)
mi dirigo verso il borghetto: percorro il vicolo buio e stretto quasi
correndo, sempre con un po' di apprensione sin da quando ero
bambina.
Sono spazi attraversati da grandi temi: la vita, l’amore , la natura, i sensi  ...  

Il vento mi porta il tuo profumo(...)
questo refolo di vento cambierà direzione ti porterà la mia voce, la
mia cucina, il mio profumo.
Mentre cammino sul sentiero, sento uno stano rumore provenire da
una casa che si affaccia sul lungo fiume (...)

Anche in quest’ultima annotazione, come in altri scritti, è presente una finestra che si spalanca con una folata di vento: forme poetiche che creano forti suggestioni e invitano a “fare anima”, come direbbe Hillman: -fare anima con l’anima del mondo.[4]
Fra immagini olfattive, visive e uditive (il profumo del caffè, la sagoma di una tegola, il cortile, il cancello i portici, la rocca, le voci ecc... ) sono stati  attraversati luoghi che hanno mantenuto il vigore delle cose che hanno sempre parlato poco, quelle cose un poco ignorate o trascurate, ma che si sono conservate in un dignitoso silenzio. Con la cura di un guardare attento e premuroso e, grazie alla scrittura, le persone hanno personalizzato spazi altrimenti destinati a rimanere  anonimi e impersonali.
(...)Il cortile del vecchio ospedale
ora è essenziale e quasi privo di vita, ma in fondo non è cambiato molto da quando ero piccola. La cucina si affacciava sul cortile. Io spesso ero lì, in visita al nonno, alla  mamma-.
Entrando nel cortile del vecchio ospedale si nota che ben poco si è modificato nel tempo, ciò che è cambiato è lo sguardo con il quale l’autrice investe la scena.
A conferma di quanto affermato da Astrid ed Ermes i partecipanti hanno esercitato un guardare capace di cogliere il bello trattenuto in ogni incontro. Il loro non è stato solo un guardare ma anche un guardarsi , perché un aspetto che ha caratterizzato l’ esperienza è la relazione; ne sono testimonianza le fotografie che ritraggono il gruppo concentrato nella scrittura e/o disinvolto in cammino. Con la stessa cura con la quale mi sono avvicinata alle scritture restituisco alcune parole ricorrenti negli elaborati:
 SGUARDO , SCRITTURA, CURA, CAMMINO .
Guardare  per vedere: ci vuole un  secondo per guardare , ma molto tempo per vedere; è necessario un tempo debito/dedicato che si anima nel tempo articolato del pensiero e  smargina  nel tempo lungo della scrittura .
Scrivere, per dare voce ai silenzi dei luoghi 
 “I luoghi parlano(...) solo se hai con loro un qualche senso di
appartenenza .
A questo punto aggiungo all’ elenco anche la parola appartenenza.
Se chiediamo ad un bambino dove inizia il mondo ci risponderà che il mondo inizia dalla sua casa; inizia dal basso, dalla stanza nella quale ha cominciato a sgambettare, dagli odori e dai sapori familiari. Anche gli autori, per le loro scritture, hanno scelto punti di partenza precisi: luoghi a cui sentivano o desideravano appartenere.
La scrittura è essa stessa luogo dice Demetrio : “Scrivere e raccontare dei luoghi e non-luoghi ( mancati, mai visitati, ancora possibili ) assegnatici dalla sorte o volutamente cercati, inseguiti, amati, attesi, lasciati, è dunque una tra le più esaltanti esperienze umane e soggettive che l’ esistenza, al singolare o condivisa, possa offrirci. Nel nostro desiderio di mettere radici  almeno in noi stessi; nella gratitudine verso chi ci insegnò a non estirparle, a ripiantarle altrove, a scoprirne di nuove.”
Inserisco in elenco anche la parola gratitudine, termine poco pensato e poco agito in una società come la nostra, così assorta nel presente, poco sensibile ai tempi lunghi della storia e poco riconoscente nei confronti delle generazioni passate. Il camminare a contatto della natura  ha alimentato, nei partecipanti, uno stupore che sottintende un velato senso di gratitudine.
Più saliamo verso l'alto con lo sguardo più scopriamo cose nuove
anche se a volte sono irraggiungibili.
È una magia unica (...)
Camminare è un'arte povera e, in quanto tale, libera e si può esprimere in un far niente pieno di cose e di idee.
Il girovagare per le vie del centro è stato molto emozionante sia
dall'alto che dal basso, l'imprevisto ha reso tutto questo
doppiamente interessante e a dir poco avventuroso.
Durante il seminario camminare ha significato partire con la possibilità di fermarsi prima, di cambiare percorso, fare digressioni abbandonandosi al piacere di scrivere una pagina bianca.
 (...)noi siamo la vita che stiamo camminando…”
Andremo a destra, in salita ? o a sinistra, in discesa ? e per
andare dove ?
L’importante non è la linea d’arrivo, ma il percorso.
Come sempre le parole rimbalzano e, in un gioco ininterrotto di rimandi, la parola gratitudine mi conduce alla parola erede.
Essere grati per sentirsi degni ad ereditare,  che non significa caricarsi di contenuti o di un capitale inerte da zavorrare, ma cercare una provenienza: “ricercare il proprio nome nell’interrogazione del passato” .. [5]
Diventare eredi per prendersi cura di un patrimonio materiale e immateriale che consegneremo ai nostri discendenti. Assumersi la responsabilità di gestire il lascito, viverlo con la consapevolezza che dobbiamo affidarlo  alle generazioni future.
L’ultima  parola che aggiungo all’elenco, è cura. Le testimonianze e le narrazioni esposte in mostra sono diventate elemento di cura: attenzioni reciprocamente  dedicate alle proprie e altrui azioni. Un ‘prendersi cura’ delle cose che hanno arredato le dimore autobiografiche di ciascuno. Una cura educativa che si è manifestata  nella semplicità di un divenire quotidiano, nella propria e altrui presenza educativa e che ha riguardato l’interesse, di ognuno e di tutti, verso il territorio, verso l’altro, verso se stessi, verso la cosa pubblica. E’ dalla cura che saremo, tutti insieme, capaci di avere verso il territorio, che si consoliderà la possibilità di educare e educarci alla cittadinanza attiva.
Sollecitata dalla lettura di un elaborato concludo con una raccomandazione:- Siate presenti e attivi sul territorio continuando però a sperimentare l’ebbrezza di sentirvi fuori luogo e fuori tempo, unica condizione, quest’ultima, che vi permetterà di  accedere alla magia del racconto.

Sento un piccolo rumore…
giro il capo di colpo pronta ad inventare un motivo

per spiegare
perché ero lì, per un attimo mi sono sentita fuori luogo, fuori tempo...

Loretta  Buda
20 Giugno 2017





[1] Franco Arminio.
[2]
[3] Il paesaggio e il silenzio di Eugenio Turri

 James Hillman, L’anima dei luoghi , Rizzoli

  AA.VV , Eredi, Bur Saggi 

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