Con cura e premura
alla ricerca del Genius Loci
Guardate,
camminate.
Prendete un angolo del vostro paese
e fatelo sacro.
Andate a fargli
visita
prima di
partire e quando tornate.[1]
<< Si conosce meglio una strada, un vicolo, una
piazza se ci si ferma o la si ripercorre alimentando un pathos generato da un
incontro(...)>> affermano Ermes e Astrid nell’ introduzione
all’ antologia dei testi elaborati dagli iscritti al seminario: L’anima dei luoghi, i luoghi dell’anima …alla ricerca
del genius Loci.
Parlando
di luoghi, vicoli, percorrenze il pensiero va alla geografia la cui prerogativa
è, appunto, l’osservazione dei luoghi; ma sappiamo che per l’indirizzo
umanistico il luogo, benché descritto anche da dati concreti, oggettivi, è innanzitutto
una realtà soggettiva animata dai significati e dalle suggestioni che ogni
soggetto gli attribuisce. A questo proposito riporto il dialogo fra Marco Polo
e Kublai Khan . “Inutilmente, magnanimo
Kublai, tenterò di descriverti la città di Zaira (...). Potrei dirti di quanti
gradini sono le vie fatte a scale, di che sesto gli archi dei porticati, di
quali lamine di zinco sono ricoperti i tetti (...) Non di questo è fatta la
città, ma di relazioni tra le misure del suo spazio e gli avvenimenti del suo
passato[2].
È proprio nel rapporto fra il luogo, e il vissuto di ognuno che assume
importanza il genius loci, il protettore
del luogo che potremmo genericamente intendere come l’intimità
del luogo; personalmente preferisco adottare l’espressione di Bachelard e
parlare di “ spazio dell’immensità intima”, luogo dove l’esperienza di ognuno trova la sua dimora, il guscio entro cui
riparare e ritrovarsi.
Tornando
all’ esperienza di scrittura, alla quale mi sono approssimata con la
delicatezza necessaria per avvicinare “i mondi” che la scrittura svela, noto che
il paesaggio, è diventato pre-testo di scrittura e scenario di storia
autobiografica. Intrecciando segni e reliquie territoriali[3]
, i partecipanti sono riusciti a far emergere e rivivere la dimensione nascosta
dei paesaggi percorsi.
Un tuffo nei ricordi del passato conoscendo le
persone che il
passato l'hanno fatto e vissuto:
la loro infanzia, quando andavano a scuola, le
loro avventure.
Il passato diventa presente
Sono
arrivati a caratterizzare spazi consueti, a declinare l’ovvio con l’inedito muovendosi
in un andirivieni fra immaginazione e ricordo. Hanno esplorato, con le loro rêverie,
sia lo spazio aperto dei grandi orizzonti, quanto quello delimitato della casa
e del borgo.
Il cielo è aggrovigliato ?
Dipaniamolo un po’.
E facciamo una sciarpa
Di nuvole filate.
(...)
mi dirigo verso il borghetto: percorro il vicolo
buio e stretto quasi
correndo, sempre con un po' di apprensione sin da
quando ero
bambina.
Sono spazi
attraversati da grandi temi: la vita, l’amore , la natura, i sensi ...
Il vento mi porta
il tuo profumo(...)
questo refolo di
vento cambierà direzione ti porterà la mia voce, la
mia cucina, il
mio profumo.
Mentre cammino
sul sentiero, sento uno stano rumore provenire da
una casa che si
affaccia sul lungo fiume (...)
Anche in
quest’ultima annotazione, come in altri scritti, è presente una finestra che si
spalanca con una folata di vento: forme poetiche che creano
forti suggestioni e invitano a “fare anima”, come direbbe Hillman: -fare anima con l’anima del mondo.[4]
Fra immagini olfattive, visive e uditive (il profumo del caffè, la sagoma di una tegola, il cortile, il cancello i
portici, la rocca, le voci ecc... ) sono stati attraversati luoghi
che hanno mantenuto il vigore delle cose che hanno sempre parlato poco, quelle
cose un poco ignorate o trascurate, ma che si sono conservate in un dignitoso
silenzio. Con la cura di un guardare attento e premuroso e, grazie alla
scrittura, le persone hanno personalizzato spazi altrimenti destinati a
rimanere anonimi e impersonali.
(...)Il cortile del vecchio ospedale
ora è essenziale e quasi privo di vita, ma in fondo
non è cambiato molto da quando ero piccola. La cucina si affacciava
sul cortile. Io spesso ero lì, in visita al nonno, alla mamma-.
Entrando nel cortile
del vecchio ospedale si nota che ben poco si è modificato nel tempo, ciò che è
cambiato è lo sguardo con il quale l’autrice investe la scena.
A conferma di quanto
affermato da Astrid ed Ermes i partecipanti hanno esercitato
un guardare capace di cogliere il bello trattenuto in ogni incontro. Il loro non
è stato solo un guardare ma anche un guardarsi , perché un aspetto che ha
caratterizzato l’ esperienza è la relazione; ne sono testimonianza le
fotografie che ritraggono il gruppo concentrato nella scrittura e/o disinvolto in
cammino. Con la stessa cura con la quale mi sono avvicinata alle scritture restituisco
alcune parole ricorrenti negli elaborati:
SGUARDO ,
SCRITTURA, CURA, CAMMINO .
Guardare per vedere: ci vuole un secondo per guardare , ma molto tempo per
vedere; è necessario un tempo debito/dedicato che si anima nel tempo articolato
del pensiero e smargina nel tempo lungo della scrittura .
Scrivere,
per dare voce ai silenzi dei luoghi
“I luoghi parlano(...) solo se hai con loro un
qualche senso di
appartenenza .
A
questo punto aggiungo all’ elenco anche la parola appartenenza.
Se chiediamo ad un bambino dove inizia il
mondo ci risponderà che il mondo inizia dalla sua casa; inizia dal basso, dalla
stanza nella quale ha cominciato a sgambettare, dagli odori e dai sapori
familiari. Anche gli autori, per le loro
scritture, hanno scelto punti di partenza precisi: luoghi a cui sentivano o
desideravano appartenere.
La scrittura è essa stessa
luogo dice Demetrio : “Scrivere e
raccontare dei luoghi e non-luoghi ( mancati, mai visitati, ancora possibili )
assegnatici dalla sorte o volutamente cercati, inseguiti, amati, attesi,
lasciati, è dunque una tra le più esaltanti esperienze umane e soggettive che
l’ esistenza, al singolare o condivisa, possa offrirci. Nel nostro desiderio di
mettere radici almeno in noi stessi; nella gratitudine verso chi ci
insegnò a non estirparle, a ripiantarle altrove, a scoprirne di nuove.”
Inserisco
in elenco anche la parola gratitudine, termine poco pensato e poco agito in una
società come la nostra, così assorta nel presente, poco sensibile ai tempi
lunghi della storia e poco riconoscente nei confronti delle generazioni passate.
Il camminare a contatto della natura ha alimentato,
nei partecipanti, uno stupore che sottintende un velato senso di gratitudine.
Più saliamo verso l'alto con lo sguardo più
scopriamo cose nuove
anche se a volte sono irraggiungibili.
È una magia unica (...)
Camminare è un'arte povera e, in quanto tale, libera e
si può esprimere in un far niente pieno di cose e di idee.
Il girovagare per le vie del centro è stato molto
emozionante sia
dall'alto che dal basso, l'imprevisto ha reso
tutto questo
doppiamente interessante e a dir poco avventuroso.
Durante il
seminario camminare ha significato partire con la possibilità di fermarsi
prima, di cambiare percorso, fare digressioni abbandonandosi al piacere di
scrivere una pagina bianca.
(...)noi
siamo la vita che stiamo camminando…”
Andremo a destra, in salita ? o a sinistra, in
discesa ? e per
andare dove ?
L’importante non è la linea d’arrivo, ma il
percorso.
Come sempre le parole rimbalzano e, in un gioco
ininterrotto di rimandi, la parola gratitudine mi conduce alla parola erede.
Essere
grati per sentirsi degni ad ereditare, che non significa caricarsi di contenuti o di
un capitale inerte da zavorrare, ma cercare una provenienza: “ricercare il
proprio nome nell’interrogazione del passato” .. [5]
Diventare
eredi per prendersi cura di un patrimonio materiale e immateriale che consegneremo
ai nostri discendenti. Assumersi la responsabilità di gestire il lascito,
viverlo con la consapevolezza che dobbiamo affidarlo alle generazioni future.
L’ultima parola che aggiungo all’elenco, è cura. Le
testimonianze e le narrazioni esposte in mostra sono diventate elemento di cura:
attenzioni reciprocamente dedicate alle
proprie e altrui azioni. Un ‘prendersi cura’ delle cose che hanno arredato le dimore
autobiografiche di ciascuno. Una cura educativa che si è manifestata nella semplicità di un divenire quotidiano,
nella propria e altrui presenza educativa e che ha riguardato l’interesse, di
ognuno e di tutti, verso il territorio, verso l’altro, verso se stessi, verso
la cosa pubblica. E’ dalla cura che saremo, tutti insieme, capaci di avere
verso il territorio, che si consoliderà la possibilità di educare e educarci
alla cittadinanza attiva.
Sollecitata
dalla lettura di un elaborato concludo con una raccomandazione:- Siate presenti
e attivi sul territorio continuando però a sperimentare l’ebbrezza di sentirvi
fuori luogo e fuori tempo, unica condizione, quest’ultima, che vi permetterà di
accedere alla magia del racconto.
Sento
un piccolo rumore…
giro
il capo di colpo pronta ad inventare un motivo
per spiegare
perché
ero lì, per un attimo mi sono sentita fuori luogo, fuori tempo...
Loretta Buda
20 Giugno 2017
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