La frase assunta a titolo è tratta dal diario di Etty Hillesum, una ragazza nata a Middelburg, il 15 gennaio 1914 e morta ad Auschwitz il 30 novembre 1943 a soli 29 anni. La giovane, laureata in giurisprudenza all’Università di Amsterdam, lavora come dattilografa presso una sezione del Consiglio ebraico e quando le si offre l’opportunità di salvarsi dalla persecuzione che i nazisti stavano mettendo in atto nei confronti degli ebrei lei decide di non avvantaggiarsene e sceglie di condividere la sorte del suo popolo. Prima di essere deportata, Etty Hillesum scrive un diario, tra il 1941 e il 1942, che viene pubblicato solo nel 1981. Sono pagine nelle quali, sulla cronaca prevale la dimensione interiore, e dalle stesse si eleva un vero e proprio inno alla vita; la lettura del diario ci mostra la tenace volontà di Etty a ricercare la felicità: una felicità che deve diventare contaminante perché la vita “è difficile, ma non è grave”.
Scrive
sempre nel diario:
«Trovo bella la vita, e mi sento libera. I cieli si stendono dentro di me come sopra di me. Credo in Dio e negli uomini e oso dirlo senza falso pudore.”
La sua è
una voce che arriva limpida, pacata e colta; una voce profonda che arriva al
cuore delle situazioni e delle cose
" Ho letto ancora un po' Rilke
ieri sera. Quando lo leggi, non ricordi sempre i dettagli, ma è come se
diventassi interiormente sempre più attenta. È come se tutto quello che ti
giunge dall'esterno dovesse essere guardato e affrontato con molta più attenzione,
come non hai mai fatto prima; ma anche tutto quello che s'innalza da dentro
dev'essere ascoltato con maggiore attenzione, sempre più attentamente e
seriamente. "
"
Una pace futura potrà esser veramente tale solo se prima sarà stata trovata da
ognuno in se stesso – se ogni uomo si sarà liberato dall’ odio contro il
prossimo, di qualunque razza o popolo, se avrà superato quest’odio e l’avrà
trasformato in qualcosa di diverso, forse alla lunga in amore se non è chiedere
troppo. E’ l’unica soluzione possibile."
Etty
, affidando al diario e alle lettere ci lascia una delle testimonianze umane e spirituali più
alte del nostro tempo e ci permette
di ricostruire il dramma del popolo ebraico attraverso una visione mistica dove la testimonianza è volta a trasformare e non solo a nominare.
"Mi sento proprio simile a una pioggerellina. E perché no, per una
volta? Cambierà pure il tempo prima o poi. Il mio errore adesso è pensare che
continuerà a piovere per tutta la vita"
Quando decide di lavorare come assistente sociale
22 luglio 1942
Accettata la mia domanda di partire come volontaria per il campo di Westerbork. Il mio cuore oggi è morto molte volte, ma è anche resuscitato. E se Dio non mi aiuterà più, allora sarò io ad aiutare Dio. L'unica cosa che possiamo salvare in questi tempi è il piccolo pezzo di Te in ognuno di noi, mio Dio.
Un villaggio
di legno tra il ciclo e la brughiera, e tutt'intorno filo spinato. In un
rettangolo di 500 metri per 600 viviamo in 10 mila. Baracche piene di spifferi
e gremite di uomini, dove le cuccette di ferro a tre piani si ammassano sotto
un cielo incombente di panni stesi ad asciugare. Di notte non si riesce a
dormire perché i bambini piangono — e perché ci si continua a chiedere come mai
non arrivino notizie dalle molte migliaia già partite dal campo.
Fuori dalle
baracche, borghesi con logori abiti confezionati e marchiati si siedono a
mangiare cavoli - rapa da scodelle smaltate. C'è fango, talmente tanto fango
che si deve possedere proprio un gran sole interiore, per non esserne sommersi.
Si sente parlare con una molteplicità di accenti, come se la torre di Babele
fosse stata innalzata in mezzo a noi. Fiammingo, olandese, tedesco. Accenti
russi o polacchi.
I bambini giocano ad acchiapparsi in
mezzo alla folla degli adulti, o cadono addormentati sull'assito polveroso
delle baracche. L'altro giorno due bambinetti svolazzavano smarriti attorno al
corpo pesante della madre, che giaceva svenuta in un angolo. I rapati a zero, i
picchiati e maltrattati, incespicano, e si muovono incerti all'ora della cena, le
mani tese verso il pane che non basta.
Un altro treno per la Polonia è pronto.
La gente è stipata nei carri merci, le porte stanno per chiudersi.
Dall'ospedale hanno portato molti malati in barella. Una madre ha caricato il
suo bambino, che deve partire da solo. Mi sono arrampicata su una cassa, li ho
contati, sono 35 vagoni
pieni.
La locomotiva manda un fischio terribile,
il campo trattiene il fiato: partono altri 3000 ebrei.
Dalle aperture delle assi spuntano le
mani a salutare, sembrano le mani di chi affoga. Un ufficiale tedesco, nell'attesa,
lungo i binari ha messo insieme un mazzetto di fiori di brughiera. Lo darà a
qualche contadinella dei dintorni.
Mio Dio, è proprio vero che tutte quelle
porte si chiudono? Attraverso le strette aperture in alto si vedono teste e
mani. Il comandante fa un breve gesto con la mano, come un principe d'operetta.
Un fischio acuto e stridente, altri 1020 ebrei lasciano l'Olanda. Di chi è
partito, non sappiamo più nulla. Lo sapremo presto, è il nostro stesso destino,
non ne ho dubitato per un istante.
7 settembre 1943.
Sono seduta sul mio zaino nel mezzo di un
affollato vagone merci. Papa, la mamma e Mischa sono alcuni vagoni più avanti.
L'ordine di partenza è giunto inaspettato. Ordine mandato appositamente
dall'Aia per noi. Viaggeremo per tre giorni. Grazie, amici, per tutte le vostre
cure.
Ho aperto a caso la Bibbia, ho trovato
queste parole: "II Signore è il mio baluardo".
Abbiamo lasciato il campo cantando.
Il diario si chiude il 13 ottobre 1942 , Hetty morirà il 30 novembre.
Loretta Buda
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