mercoledì 28 marzo 2018

“LA TRIBÙ DE’ FALÀSCH” Loretta Buda


“LA TRIBÙ DE’ FALÀSCH”





A certi fatti siamo gli ultimi testimoni . Il nostro tempo
si sta esaurendo e il dovere che abbiamo è quello di raccontare .[1]
Svetlana Alexsievic








Il libro, “La tribù de’ falàsch “è frutto di un’operazione significativa e apprezzabile di Andrea Pari; l’autore, raccontando la storia dei primi abitanti della foce del Rubicone ridisegna uno scenario antico, arcaico, come lo definisce, con più accuratezza, Clery Celeste nella postfazione. L’autore, ha intervistato gli ultimi anziani appartenenti alle famiglie che hanno costituito la prima comunità di Gatteo a Mare.
“E’ falàsch [2]“, la legna di fiume trascinata a riva dalla burrasca, è diventata il filo conduttore della narrazione ed ha contribuito a completare il titolo dell’opera.
 “Per mangiare si andava a raccogliere le poverazze.
 D’inverno aspettavamo la fiumana in spiaggia
per andare a prendere la legna. La chiamavano è falàsch.” .
Quello di Pari è un racconto corale che riesce attribuire significati universali all’esperienza umana ; con la restituzione delle testimonianze, ridisegna un “paesaggio della memoria” e salvaguarda l’identità del sistema associativo simpaticamente definito tribù. un La vitalità del gruppo, che si era insediato in quel lembo di terra denominato le “Due Bocche”, viene consolidata dalla la necessità di sopravvivere ai disagi che la povertà e la guerra imponevano e dalla  volontà di progredire verso un futuro di rinascita; una ripresa che fa esclamare a Berto ad Nùfar :
-Dopo è stata una favola.
Una favola che colloca il suo “e vissero felici e contenti” a Gatteo Mare, oggi riconosciuta come: deliziosa località turistica.
 “Il mare non l'avevo mai visto.
Ci andavo con mio babbo a lavare
le vacche per la festa di San Lorenzo.
A Sant'Angelo avevamo solo i maceri.
Quello era il nostro mare.
La ricerca di Pari valorizza il patrimonio immateriale di un luogo che in un “altro ieri”, non troppo lontano, era sguarnito e disabitato. “Al mare non c’era niente” ricorda la Norma ad Plaza e “il comune regalava il terreno, i miei hanno costruito la casa dietro le dune, ribadisce la Marì ad Marnain.
Grazie all’incontro con  gli anziani è stata esplorata una territorialità della memoria che ha evidenziato il legame  tra gli eventi storici vissuti in quel  particolare luogo geografico. I ricordi che i testimoni hanno narrato  e che Andrea Pari ha trascritto, in piena sintonia stilistica e tematica, hanno delineato una “biografia di comunità” che  si connota come  un dono trasmesso  ai giovani  da parte degli anziani che, a loro volta,  diventano  un prezioso anello di continuità intergenerazionale.
La storia bella da raccontare è prima della guerra,
 quando la strada era ancora asfaltata con i gusci
delle vongole. C’erano solo i Piat, i Marnàin,
 i Plaza, i Lòzzal , i Nùfar e l’Albergo Rubicone.  
Il mio consiglio di lettura   si rivolge, non solo ai gatteesi stanziali, ma  a tutti coloro che amano riscoprire la bellezza di un’Italia che fu minore solo nel pensiero di alcuni, infatti l’Italia , come scrive  Franco Arminio,  è bella  perché  ha tante  storie e tante geografie [4].

Loretta Buda 

Andrea Pari,  La tribù de’ falàsch, 2017



[1] “ Gli ultimi testimoni” di Svetlana Alexsievic

[2] Falasco
[3]
[4] La Lettura / Corriere della sera :domenica 25 Marzo

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