giovedì 9 febbraio 2017

10 febbraio :IL GIORNO DEL RICORDO




10 Febbraio 2017

“Di tutto ciò che siamo, di tutto ciò che fummo,
restano le parole che abbiamo detto,
 le parole che tu ora scrivi, scrittore.”[1]



   
Viviamo quel tempo che Franco Arminio definisce “dell’agonia ciarliera» , dove  fretta e smemoratezza  procedono appaiate trascinando nella loro corsa ricordi , vissuti  e parole.  Soprattutto per noi, di PAROLEFATTEAMANO, è risaputo che per  restare, per essere ricordati  ci vogliono le parole; quelle parole che narrano ,  che “continuano  a farla essere la vita e  la testimoniano”. [2]
Quindi,   nel giorno dedicato alla memoria dell’esodo istriano, fiumano e dalmata e   ai delitti   perpetrati in quelle terre ci affidiamo  alle parole di  Simone Cristicchi , artista poliedrico, che nel libro “Magazzino 18” racconta  la storia di quelle popolazioni   che hanno subito pesantemente  la  sconfitta  dell’Italia  alla fine della seconda guerra mondiale  . 
L.B.


Quando i miei genitori, con molti altri furono costretti a lasciare Umago e tutto ciò che avevano, dopo tante peripezie approdarono in uno dei tanti «borghi costruiti per gli esuli» dove la gente delle più svariate località dell’lstria si ritrovava a vivere insieme, sopra, sotto, di fianco, di fronte.
Da alcuni vicini, venuti via da Capodistria, ho saputo che le donne di casa si portarono via
anche i bulbi di alcune piante del loro giardino, che evidentemente avevano curato con amore e da cui era stato difficile separarsi. Misero in un sacchetto di tela i bulbi dei gigli, riuscirono a passare il confine (il «blocco» si chiamava) e questi bulbi cominciarono la via crucis dei campi profughi fino a quando furono definitivamente trapiantati nei piccoli giardini delle case per gli esuli.(...)





In paese ci sono tornata, sì, certo, almeno a mettere un fiore sulla tomba dei nonni, ma
nella casa dove sono nata, a Grisignana, non sono mai più riuscita a rimetterci piede, mi fa troppo male. L’ ho vista da lontano, qualche anno fa. Era mezza diroccata, mi si è stretto il cuore. Non era un palazzo, no davvero, eravamo semplici contadini, ma era il nostro
focolare. Non ne ho mai più avuto uno.
Dodici anni da profuga in una baracca di legno sul Carso triestino, studi in collegio
interrotti alla terza media per "dare una mano ai miei". Non ce l’avremmo fatta a uscire da quelle baracche altrimenti.
Quando domani in viaggio arriverai sul mio paese,
carezzami ti prego il campanile...
(Testimonianza di Carla Reschia, Trieste, racconto del rientro dopo la guerra, dolore sconforto, paura di
quello che si può trovare)




Simone Cristicchi, Magazzino 18, Mondadori. Milano  2013



[1] Tabucchi : “Tristano muore”
[2] Idem 

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